Le emissioni di mini e pluribond: considerazioni e profili di responsabilità.
I mini bond sono uno strumento di autofinanziamento cui in particolare negli ultimi anni numerose PMI (Piccole e Medie Imprese) hanno fatto ricorso.
Lo scopo, di frequente, è quello di valorizzare i propri assets proprietari e/o il proprio core business, ottimizzando le risorse a disposizione nell’ottica di ottenere un “prestito” sotto forma di iniezione di liquidità emettendo delle obbligazioni garantite dalla società emittente.
Questa liquidità, alternativa al più difficoltoso canale (anche burocraticamente lento) che porta al “prestito” da parte degli istituti di credito, pure considerate le varie formule del finanziamento o dello scoperto di conto corrente, rappresenta quindi o almeno così dovrebbe un patto fra l’emittente e i sottoscrittori delle obbligazioni che punta a valorizzare la capacità produttiva dell’impresa.
Centrale è il ruolo storico e ampiamente conosciuto al diritto commerciale della figura dell’imprenditore come epicentro di una capacità di generare adeguati flussi di cassa per se stesso e per il sistema della produttività tale per cui egli è, con l’impiego del capitale, in grado di generare quel moltiplicatore tipico che consente la crescita esponenziale dell’impresa unitamente alla sua capacità di rispettare gli obblighi fra cui gli impegni presi verso i creditori.
In quest’ottica va rilevato che in nessuna occasione, ieri come oggi, l’emissione di mini bond avrebbe dovuto servire per scopi quali il c.d. consolidamento del debito. Cioè per pagare i creditori trasferendo il rischio di insolvenza in capo agli obbligazionisti.
Si può quindi affermare in ragione delle norme che, come vedremo, hanno circoscritto il pacchetto dei mini bond che gli stessi sono titoli di debito di medio lungo termine emessi da società italiane non quotate e destinati principalmente a: 1) piani di sviluppo (piano industriale o project financing); 2) operazioni di investimento straordinarie (fra cui anche joint venture) e/o refinancing operations (pure in considerazione dei patrimoni destinati allo specifico affare o di operazioni di scorporo/conferimento rami d’azienda nel caso delle operazioni longer-term).
A ben guardare quindi gli obbligazionisti nello scegliere di investire in una PMI compiono una decisione che dovrebbe essere presa ben considerando sia il bilancio sia il piano industriale della società.
Orbene, il successo o forse meglio sarebbe, la necessità di ricorrere a questa liquidità sta stimolando oggi una sempre più forte domanda pure in considerazione del fatto che, sotto l’egida del termine “crowdfunding” è possibile emettere mini bond in ottemperanza al Regolamento Consob 21110/2019 destinati non più e soltanto ad investitori istituzionali ma anche ai privati. In pratica, sotto la comune definizione, forse utilizzata con eccessiva semplificazione, destinati a un pubblico più vasto. Pur se occorre osservare che non tutti i risparmiatori possono “investire” in mini bond giacchè restano previsti alcuni requisiti necessari e sufficienti che vedremo successivamente e in particolare quelli di profilazione, la cui specificità trasferisce (o così dovrebbe) il profilo di responsabilità a carico degli intermediari (che in questo caso sono molteplici fra cui banche, reti di consulenti, piattaforma di crowdfunding) in quello che è un evoluzione del concetto di appropriatezza e adeguatezza.
Dal lato del sottoscrittore le attuali regole stabiliscono che nella tipologia di piccoli risparmiatori sono abilitati alla sottoscrizione di minibond attraverso le piattaforme (autorizzate da Consob) coloro che posseggono alcuni requisiti, fra cui: il possesso di un portafoglio finanziario o di liquidità pari ad almeno 250.000 euro; che la richiesta riguardi singoli investimenti obbligazionari pari ad almeno 100.000 euro/offerta; avere in essere una gestione patrimoniale all’interno della quale sia coerente con la composizione del portafoglio l’allocazione in uno o più mini bond; avere in essere un rapporto di consulenza finanziaria nel cui contratto di consulenza sia consentito inserire, nella pianificazione e diversificazione, anche i mini bond di PMI italiane o europee.
Ad avviso dello scrivente e fermo restando la necessità di essere il più sintetico possibile in questa esposizione trattandosi di una materia su cui non poche sarebbero le considerazioni in diritto da svolgere, non ci si può limitare ad una produzione di profilatura uso e consumo per la sottoscrizione di mini bond se non viene espressamente messo in rilievo la compatibilità di quest’ultimi con gli aspetti più determinanti della profilatura secondo i criteri tracciati da ESMA e conseguentemente si potrebbe pensare che nessun investitore non professionale potrà essere adeguatamente cautelato da un investimento in mini bond che non trovi riscontro nel suo percorso passato di trade off.
Si corre ciò il rischio di mettere in mano il debito sotto forma di obbligazioni con un aspettativa di remunerazione legata a una serie di fattori di cui l’investitore nulla conosce e che, se indagate, sarebbero in grado di stravolgere completamente la sua aspettativa di rendimento paradossalmente dimostrando che la stessa è (ri)nata esclusivamente in funzione della sottoscrizione del mini bond.
E’ utile provare a cogliere una definizione giuridica valevole per tracciare il significato di mini bond, quale strumento finanziario per le aziende non quotate in Borsa come è stato volutamente introdotto in Italia.
Le norme di riferimento sono: il DL 22 giugno 2012, n. 83, e le successive modificazioni fra cui DL 18 ottobre 2012, n. 179, DL 23 dicembre 2013, n. 145 e il DL 24 giugno 2014, n. 91
Secondo quanto previsto dal DL “destinazione italia” i mini bond devono essere emessi da società il cui fatturato superi i due milioni di euro ovvero l’organico deve essere composto da almeno 10 dipendenti e il cui ultimo bilancio approvato sia stato certificato da un revisore esterno.
Pur non essendo necessario il ruolo della banca per l’emissione del mini bond di fatto negli ultimi anni alcune figure sono diventate frequenti, tra queste meritano di essere ricordate l’advisor, l’arranger e la società di rating per un giudizio terzo sulla solvibilità dell’emittente.
Quello che emerge è un doppio binario. Da un lato le regole introduttive e spesso modificate o adeguate che disciplinano lo strumento mini bond e dall’altro la tendenza della pratica che ha dato una direzione realista allo svolgimento di questa fattispecie.
Pertanto sembra utile individuare alcuni punti nevralgici che sono poi quelli che maggiormente potrebbero interessare la tutela degli obbligazionisti nell’ottica della scienza del diritto e fra questi:
- la decisione strategica iniziale (presa dagli amministratori della società) che si basa sull’analisi del business plan e che si traduce nell’emissione / messa a disposizione dell’information memorandum nel quale figurano anche la compliance e il prospetto del prestito tenuto conto dei regolamenti.
- il targeting dei potenziali sottoscrittori avuto riguardo alle caratteristiche dell’emissione che individua specificatamente attraverso il rischio / rendimento il fine tuning dei rendimenti offerti.
Sono quindi documenti utili da reperire:
- business plan o il project financing predisposto dall’emittente o dall’advisor
- il rating attribuito all’emissione
- informativa richiesta dal target di investitori tenuto conto anche dell’eventuale borsa di negoziazione
- i report informativi periodici
Sono invece essenziali:
- l’indicazione dei responsabili dell’emissione (persone)
- informativa relativa alla struttura organizzativa dell’emittente
- composizione del capitale sociale
- le informazioni relative alle attività/passività in rapporto alla situazione finanziaria pregressa e al piano industriale con particolare riferimento ai profitti e alle perdite attese dall’emittente
Ognuna di queste informazioni può rivelarsi fondamentale per la difesa degli obbligazionisti qualora il mini bond, o pluri, si rivelasse inadeguato alla commercializzazione e non riferibile alla classe di rischio di cui alla profilatura possedendo per converso una complessità tale che non ne dovrebbe consentire la negoziazione se non agli investitori professionali, pur se on line e pur se riservata a categorie individuate dalla Consob.
Sarebbe inoltre essenziale che il potenziale sottoscrittore entri in possesso di un documento certificato da terzi di c.d. use of proceeds nel quale venga effettivamente messo in rilievo che posto l’avere assolto ad un completa attività di due diligence e a un altrettanto completa verifica tenuto conto dei parametri di chiarezza e coerenza, anche certificata nel rating attribuito sempre da una società terza, si attesti come il capitale raccolto (unitamente a quello circolante) sia sufficiente a garantire non solo le attuali esigenze operative dell’emittente ma anche il raggiungimento di quegli standard di solvibilità che consentono allo stesso di ottemperare alla rifusione del capitale, così reperito, in modo da scongiurare il significato proprio di “insolvenza” come individuato dal codice della crisi di impresa.
Per l’emittente può essere di particolare interesse inserire alcune clausole facenti parte della famiglia delle MAC (material adverse change) come pure un capitolato specifico sull’ipotesi di ricorrere successivamente al prestito bancario per il consolidamento dei debiti o per eventuali altre motivazioni (affinchè gli obbligazionisti sappiano di questa eventualità).
Solo in ragione del tenore di alcune prese di posizione sembra opportuno sottolineare come tali documenti non possono essere negati in virtù del fatto che l’emissione sia negoziata su di un multilateral trading facility e che pertanto, da un punto di vista squisitamente tecnico, non rientrerebbe nell’ambito di un mercato organizzato secondo MIFID bensì una piattaforma di negoziazione elettronica con dei settlement preimpostati.
Tale impostazione non pare potersi cambiare nell’ambito della recente evoluzione del pluri bond, dove tante piccole emissioni obbligazionarie confluiscono in una più grande che andrebbe a sostegno di un intera filiera dovendo in tal senso sussistere il carattere dell’omogeneità perlomeno generica fra i soggetti coinvolti tenuto conto dei medesimi elementi che consentono l’emissione del mini bond.
Giova rammentare che il profuso utilizzo di termini di importazione anglo americana non devono mai indurre in errore l’interprete del diritto; in Italia gran parte dell’evoluzione del mercato dei c.d. titoli di debito è passato attraverso la storia dell’art. 2483 c.c. che rappresenta ancora oggi, per giurisprudenza, il punto di riferimento per capire la materia avuto riguardo alle srl e da cui trarre non pochi insegnamenti.
E l’intendimento del legislatore è stato quello, anzitutto, di consentire questo genere di emissioni ma riservando la sottoscrivibilità di tali titoli solo ad un qualificato segmento di operatori professionali che erano in grado di valutare l’appetibilità del prestito rispetto agli altri partecipanti alla filiera dei sottoscrittori.
Lo scopo era quello di offrire alle PMI un alternativa alla polarizzazione del credito da fonte bancaria che era diventato il centro nevralgico del mercato del debito. Nel contempo gli stessi istituti di credito hanno sofferto di una congestione dovuta ai crediti in sofferenza in parte alimentata da una serie di pratiche grigie tra bad bank e rifinanziamenti che abbiamo imparato a conoscere sotto l’egida dei c.d. NPL ma di fatto il quadro normativo stabilito oggi da Basilea III e dai requisiti fissati dalle autorità di vigilanza ha imposto alle banche di operare dei significativi rafforzamenti patrimoniali (spesso con il ricorso all’aumento di capitale). Orbene queste nuove imposizioni, se da un lato hanno puntellato la stabilità e l’efficienza del sistema, hanno altresì prodotto una contrazione del mercato del credito. In modo tale che, creando il classico collo di bottiglia, si è finito per chiudere il rubinetto precludendo questa via a numerose PMI. Tagliandole fuori. E provocando quegli effetti che passano sotto il denominatore di credit crunch.
Non ultimo poi, l’intervento voluto (saggiamente) con l’introduzione del principio IFSR9 che ha specificatamente previsto di non potersi più fare una distinzione tra crediti buoni e problematici o NPL dovendosi, in sintesi, agire per pronosticare le situazioni di criticità adeguatamente operando degli accantonamenti in quella che nella prassi bancaria Italiana (a volte non coincidente con le indicazioni Europee ma interpretata o meglio chiarita attraverso le Circolari di Banca d’Italia) è la perdita attesa che si è tradotta nella prassi degli istituti di credito, molto diffusa, di traghettare le PMI verso un allungamento della vita del loro debito con le c.d. ristrutturazioni dello stesso. In un primo momento salutato come un possibile aiuto alle imprese di fatto si sta invece dimostrando essere una vera e propria stampella che in tempi di crisi economica, alimenta quel collo di bottiglia o forse, usando un termine più crudele, la strozzatura.
Di qui l’inevitabile “esplosione” dei mini bond e recentissimi pluri bond.
E’ giusto quindi porsi la domanda se ci sia una forzatura in atto che consente di emettere obbligazioni specialmente nell’ambito dei pluri bond che corrono in rischio di generare un bolla speculativa di titoli tossici che in mano ai risparmiatori genereranno perdite e potenzialmente potrebbero rendere difficile l’esercizio delle azioni civili ad oggi più che altro ipotizzabili, dalla nullità al risarcimento e fermo restando le sopra brevemente citate responsabilità nel collocamento / sottoscrizione.
L’adeguatezza di queste obbligazioni potrebbe mettere a dura prova alcune voci delle attuali procedure di profilazione che già sono state in più occasioni censurate anche solo tenuto conto del concetto di “complessità” di un prodotto finanziario. Mentre in questi casi ci si potrebbe addirittura trovare di fronte a una nuova tipologia di rischio tale per cui prodotti del debito tipico delle imprese e del ruolo del imprenditore potrebbero finire per gravare le aspettative di rendimento di profili del tutto bilanciati di risparmiatori che se effettuassero un paragone tecnico dal mero punto di vista dell’emissione tra lo strumento “bond” e quello del “prestito” ad un esame svolto dal punto di vista aziendalistico, cioè con voci pertinenti e obbligatorie per l’accesso al credito, dovrebbero sapere che a parità di condizioni il secondo sarebbe negato dal canale bancario per via dell’eccessiva rischiosità.
Motivazioni che fanno pensare che difficilmente i risparmiatori, se così resi consapevoli, investirebbero in obbligazioni del genere.
Aprendo fra l’altro a una serie di considerazioni circa la responsabilità dell’intermediario o del consulente che potrebbero rivelarsi particolarmente problematiche in seno alla trasparenza e alla coerenza dell’investimento.
Avv. Marco Solferini