Nullità dei c.d. finanziamenti baciati, ancora uno stop alla azioni proprie delle Banche cooperative ai propri Clienti

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Nullità dei c.d. finanziamenti baciati, ancora uno stop alla azioni proprie delle Banche cooperative ai propri Clienti

 

Meritano ancora attenzione i finanziamenti c.d. baciati delle banche e in particolare di quelli delle banche cooperative.

Si moltiplicano i casi in cui gli istituti di credito cooperativi hanno ceduto a diverso titolo e con diverse formule ma quasi tutte riconducibili a contratti collegati, azioni proprie al Cliente.

Abbiamo già affrontato i casi in cui i Clienti venivano “trasformati” in soci comprando pacchetti di azioni della Banca per beneficiare di presunte agevolazioni su mutui o finanziamenti collegati a ipotesi diverse (acquisto immobili, consolidamento del debito e altro) ora invece ci soffermiamo sul caso in cui l’operazione di far acquistare azioni al Cliente sia finalizzata al ristoro di pregressi investimenti.

In pratica i casi in cui la Banca dopo aver ricevuto le lamentele del Cliente decide di usare le azioni proprie come formula per il ristoro di questo genere di perdite; ci sono molteplici casi ma proviamo ad osservare più da vicino quello della c.d. intestazione fiduciaria delle azioni della banca senza alcun esborso da parte dell’intestatario. Operazione conclusa con l’uso dello strumento elastico del fido su c/c.

La domanda cui dare risposta è se la qual cosa rientri nella nullità ex. art. 2358 c.c. posto che le banche cooperative tendono a negarne l’applicazione in quanto non ritengono l’articolo in questione spendibile con la loro ragione sociale.

La risposta è positiva.

L’orientamento della giurisprudenza è conforme e condivisibile, si riporta il recente caso del Tribunale di Venezia con decisione 1220/2022 che sul punto in diritto ha stabilito, relativamente all’art. 2358 c.c.:

“che prevede le condizioni che rendono possibile l’assistenza finanziaria, afferma nel suo principio generale un divieto che ha carattere imperativo, posto che detto divieto laddove non derogato in ragione della sussistenza delle condizioni di ammissibilità dell’assistenza finanziaria è chiaramente diretto ad impedire operazioni che possano determinare un’erosione anche potenziale del capitale sociale, nell’interesse dei creditori della società (v. pronuncia Corte Cass. n. 15398/2013 ancorché riferita al solo contratto di finanziamento posto che solo della nullità del contratto di finanziamento colà si discuteva ); come già affermato da questo Tribunale “l’imperatività del divieto di assistenza finanziaria si scorge nel fatto che il legislatore ha voluto escludere il rischio della non effettività, totale o parziale, del conferimento dei nuovi soci al tempo dell’aumento di capitale, con ricaduta sul patrimonio netto, stante il rischio di inadempimento del socio entrante, inadempimento che sarà riferito all’obbligazione del rimborso del finanziamento, non a quella del conferimento, già adempiuta con i mezzi finanziari messi a disposizione della società (Cass. n. 25005/2006). Detto ciò e considerato il divieto di assistenza finanziaria imposto da norma imperativa, deve escludersi che le norme imperative la cui violazione comporta la nullità del contratto siano solo quelle che si riferiscano alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti. L’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto in conformità al disposto dell’art. 1418 comma 1 cc, è più ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo contenuto del contratto medesimo, dovendosi ricomprendere anche le norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni, oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto, per cui ove il contratto venga stipulato, nonostante il divieto imposto dalla legge, è la stessa sua esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni ancora più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto (Cass. Sez. Un. n. 26724/2007)” .

Si perviene quindi alla soluzione adottata ormai da numerosi giudici.

Tale per cui è del tutto conseguente quindi che, come ben noto, i negozi che hanno posto in essere operazioni illecite vanno conclusivamente dichiarati nulli.

Per effetto sussiste la conseguente liberazione di parte attrice dagli obblighi contrattuali che non sono stati ancora adempiuti, ivi compresi gli eventi “pagamenti” per ridurre la relativa esposizione debitoria verso la banca.

Traiamo pertanto alcuni importanti elementi utili all’interprete del diritto per lavorare sulla strategia difensiva ben organizzando gli elementi ricavabili e fermo restando che sussistono molteplici varianti come tale è fondamentale studiare molto attentamente ogni singolo caso:

  1. Collegamento intenzionale e teleologico: vuole significare che l’attività decettiva di induzione all’acquisto di azioni proprie della Banca è stata realizzata in maniera capziosamente orientata a ingenerare la falsa rappresentazione nel Cliente che fosse un operazione disciplinata e orientata al realizzo di un diverso scopo come tale strumentale ad esso. Mancando pertanto e per effetto qualsivoglia consapevolezza o auto rappresentazione del Cliente diversa rispetto a quella formulata dalla Banca che di fatto è l’unica ad aver avuto il controllo dell’operazione in sè tanto dal punto di vista concettuale quanto manipolativo.
  2. Prospettiva di azzerare il debito o comunque di poter liquidare con facilità le azioni della Banca: a prescindere da pregresse operazioni (anche investimenti di natura speculativa) nulla rileva nel caso in esame giacchè non si è mai trattato di una vera e propria legittima volontà del risparmiatore di diventare socio della Banca bensì di un passaggio reso necessario e strumentale allo scopo di perseguire un altro fine, successivo e non ugualmente raggiungibile senza questo obbligatorio tassello. Di scarsa importanza poi se le azioni in questione fossero state liquide all’epoca dell’acquisto dal momento in cui in nessun caso e senza alcun avvertimento o attraverso una consulenza disciplinata secondo i crismi della vendita di prodotti finanziari sia stato rappresentano, esemplificato, spiegato al Cliente che sussisteva la possibilità, peraltro tutt’altro che remota, che le azioni in questione diventassero illiquide e come tali che non solo avrebbero perso di valore ma nemmeno sarebbe stato semplice rivenderle per monetizzarne l’importo.
  3. La prova del collegamento negoziale tra i contratti: quest’ultima verte nell’indirizzo di dimostrare come fossero collegati e finalizzati all’acquisto / sottoscrizione di titoli propri della Banca pertanto la stessa è orientata alla dimostrazione di fatti storici.

Vale inoltre la pena ricordare alcune fallimentari condotte difensive ad oggi opposte dalle banche cooperative, per esempio quella sulla presunta incompetenza della sezione Imprese del Tribunale laddove soggette a procedura concorsuale. A tal proposito si rammenta che la competenza della sezione specializzata si impone solo quando la controversia sia relativa alla società e alle sue vicende, avuto riguardo sia alle questioni di governo interno, sia alla persona del singolo socio, nei suoi rapporti con la società, con i suoi organi o con gli altri soci (Cass. n. 22340/2020; Cass. 31691/2018; Cass. 28537/2018; Cass. 6882/2018; Cass. 1826/2018; Cass. n. 8738/2017).

Anche la chiamata alle armi dell’art 83 del TUB per ipotizzare creative ipotesi di improcedibilità non ha colto nel segno in fin troppi casi poichè oggetto del giudizio è esclusivamente l’accertamento circa l’inesistenza del credito vantato dalla banca in ragione dell’affidamento accordato. La domanda non è improcedibile perché l’art. 83 TUB, correttamente interpretato, non pone alcun limite alla cognizione del giudice ordinario in merito alle domande di accertamento negativo di un credito verso la banca.

Per quanto volutamente sintetica la disamina offerta e le riflessioni svolte mi portano a ribadire che la vendita di azioni proprie delle banche, in particolare quelle cooperative, ai propri Clienti è un fenomeno insistito da tempo che ha profili di nullità sotto molteplici aspetti e rappresenta un perimetro di estrema pericolosità per un enorme numero di risparmiatori e Clienti.

C’è una considerevole mole di persone che detengono in portafoglio queste azioni senza minimamente sapere a cosa sono andati incontro e cosa potrebbe accadergli, il tutto con una collusione omertosa da parte della Banche interessate le quali escludono qualsivoglia iniziativa informativa trincerandosi dietro la speranza che il Cliente “non se ne accorga”. In molti casi poi c’è anche una manipolazione. Complice lo scarso livello di consapevolezza e cultura finanziaria dei clienti in special modo poi nei Comuni o nelle aree geografiche meno urbanizzate o industriali.

Il consiglio è come sempre quello di rivolgersi al proprio Avvocato di fiducia, meglio se preparato o specializzato in particolare in diritto bancario, affinchè insieme con il proprio Professionista si intraprendano i passi necessari a fare chiarezza.

Le posizioni possono sembrare simili ma realisticamente non lo sono. E’ importante organizzare bene il lavoro e studiare approfonditamente ogni singola posizione.

 

Avv. Marco Solferini

Pubblicato da:

Marco Solferini

L'avvocato Marco Solferini è esperto in diritto civile, commerciale, bancario, del risparmio e degli investimenti. Ha maturato una significativa esperienza nella tutela dei consumatori, contrattualistica societaria e nel diritto di Famiglia. Si occupa attivamente di diritto delle nuove tecnologie nel Metaverso e Ai in particolare per start-up e PMI. E' titolare dello Studio legale Solferini e svolge la sua attività in Bologna, Roma e Milano: www.studiolegalesolferini.com - info@studiolegalesolferini.com Ha ricoperto e ricopre alcune cariche in enti, società, associazioni. La storia professionale e il curriculum sono disponibili dal profilo Linkedin.

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