Il ricorso ACF avente ad oggetto Obbligazioni: riflessioni e autovalutazioni
Ritengo sia utile a beneficio di tutti coloro che valutano se presentare un reclamo o il successivo ricorso fare una breve sintesi panoramica su alcuni elementi che vengono spesso portati alla mia attenzione da parte di Clienti che domandando una consulenza, a volte persino su atti che essi stessi ritengono di confezionare e sottoporre ad una sorta di valutazione / correzione.
Trattasi di fattispecie che ritornano di frequente nell’ambito delle censure mosse a investimenti operati nelle obbligazioni, un titolo che negli ultimi anni è stato spesso oggetto di controversie.
La domanda di nullità viene di frequente sollevata deducendo l’assenza del contratto relativo ai servizi di investimento. Come in più occasioni ho avuto modo di osservare per poter preparare bene e in modo diligente una contestazione è necessario prima di tutto formulare una domanda (nella forma dell’istanza) ex. 119 e 117 TUB nella quale si chiede all’Intermediario la documentazione che il Cliente ha diritto di ottenere. E’ del tutto evidente che da essa si potrà evincere se il contratto è stato o meno sottoscritto. Nel qual caso essendo l’eventuale ricorso all’arbitro un procedimento diverso rispetto a quello innanzi a un Giudice la prassi seguita di “tentare” molteplici strade sperando che almeno una trovi accoglimenti corre in realtà il rischio di svuotare di contenuti argomentazioni più solide. Meglio immaginarsi, se proprio è necessario ricorrere a una metafora, una singola freccia scagliata con precisione verso il bersaglio. Si tenga poi sempre a mente che oltre alla questione della credibilità c’è anche il presupposto che le contestazioni vanno svolte per tempo quindi “aggiustare” il tiro con una presunta nullità per mancanza di un documento o della sottoscrizione del medesimo nel ricorso senza prima averlo eccepito nel reclamo è uno sbaglio.
La domanda di risoluzione per inadempimento è stata più volte già percorsa in ormai numerosi precedenti sui quali, in tema di Obbligazioni, il Collegio pare avere assunto una condotta stabile tale per cui non possa essere richiamata a fini risolutori l’eventuale accertamento della violazione degli obblighi di condotta gravanti sull’Intermediario e lamentati dal Ricorrente (vedasi, fra le altre la Decisione n. 3334 del 18.01.2021).
Una sorte analoga ha subito anche la domanda di risoluzione dei singoli contratti di acquisto laddove il precetto cui il Collegio tende a ritornare è quello tale per cui le violazioni eventualmente verificatesi in un momento antecedente alle singole operazioni di acquisto “non possono operare come causa di risoluzione delle stesse ai sensi dell’art. 1453 c.c., tale rimedio presupponendo che l’inadempimento che vi dà causa inerisca direttamente al rapporto contrattuale che si vorrebbe risolvere, e non a un rapporto diverso, ancorché a esso in un certo senso presupposto” (vedasi le decisioni nn. 3929 del 25.06.2021, 3486 del 25.02.2021, 1880 dell’8.08.2019, 1893 del 2.10.2019).
L’annoso tema della presunta consulenza in materia di investimenti è divisivo nel senso che ragion d’essere vorrebbe che la stessa sia supportata da evidenze in atti. Orbene significherebbe che la mera lamentela o anche il resoconto per quanto dettagliato di per sè non sono sufficienti se il Cliente non offra alcuna prova, nemmeno di natura indiziaria, che dimostri come vi sia stata la prestazione di una qualunque forma di consulenza da parte dell’Intermediario. Ormai in molteplici casi che hanno riguardato numerose fattispecie Obbligazioni il Collegio stabilito che “le doglianze attinenti alla dinamica dei rapporti tra il cliente e il personale dell’Intermediario non possono essere meramente allegate, ma devono trovare riscontro in idonee evidenze istruttorie che e onere del ricorrente fornire, vertendo in tal caso la prova su circostanze che si collocano al di fuori dell’applicazione del principio di inversione dell’onere della prova di cui all’art. 23 del TUF (Decisione n. 1143 del 29/11/2018, confermata recentemente nella Decisione n. 3895 del 21 giugno 2021) e dovendo essere improntata al fondamentale generale principio di vicinanza della prova” (Decisione n. 3766 del 17.05.2021).
Fermo restando che mi rendo conto come, se le consulenze c’erano ed erano “innominate”, ovviamente il Cliente vorrà contestarle. Nessuno può essere privato della verità a scopo squisitamente argomentativo e non posso certo esimermi dal rilevare come la prassi di offrire consulenze border line sia molto praticata in numerosissimi Istituti di credito ad opera di personale che offre regolarmente dei “consigli per gli acquisti”. Il punto da cui partire è sempre la lettura del contratto quadro laddove se questo non prevedeva la prestazione del servizio di consulenza ma solo l’incarico di svolgere i servizi di negoziazione e collocamento, per quanto sia spiacevole anche se ci sono stati è certo che l’Intermediario negherà.
Naturalmente il Collegio ACF è composto da esperti del diritto che ben conoscono gli usi e le consuetudini sul tema pertanto la valutazione delle c.d. pezze d’appoggio potrebbero essere numerose. Ci rientrano per esempio le emails. Infatti lo scambio di corrispondenza (da preferire piuttosto del contatto diretto in Filiale o allo sportello) è in grado di dimostrare quell’aspetto indiziario utile e di per sè sufficiente. Accade di frequente che l’investimento sia sollecitato dal personale bancario basandosi su di un rapporto fiduciario l’incrinatura del quale spinge in numerose circostanze colui o colei che ha offerto il suggerimento luciferino a cercare un rimedio mettendo per iscritto elementi utili. Quindi occorre elaborare bene tutta la pregressa corrispondenza. Chi scrive ritiene che sia utile anche la messaggistica. Laddove se debitamente esportata (non gli screenshot) e allegata può dimostrare che cosa realisticamente accadeva tra il Cliente e il personale preposto. Si tenga presente inoltre che in non pochi casi queste “procedure” violano gli standard di ESMA. Un attento studio porterà a rilevare che anche le richieste successive di informazione di un titolo in custodia e amministrazione spesso violano i precetti stabiliti da ESMA quando si palesano condotte superficiali o disimpegnative da parte del personale. Una fattispecie invece che non rileva è la promozione a mò di consulenza che una o più persone dell’Istituto di credito o dell’Intermediario abbiano fatto ad incertam personam in qualunque supporto. Si pensi al collocamento di Obbligazioni proprie di una Banca e al rilascio di raccomandazioni anche strategiche avvenute nel fare rete, media, social, podcast o altro (anche gruppi o forum). Non sono mai indicazioni personalizzate. Quantunque vengano avvalorate a mò di assenso nella propria Filiale.
Il questionario MiFID rimane invece una delle prove anche a scopo autovalutativo più determinanti. Motivo per cui è sempre essenziale allegarlo fin dal reclamo nella versione vigente all’epoca dell’acquisto. Ho più volte scritto in proposito e ribadisco che in esso debbono essere messi sotto la lente d’ingrandimento anzitutto l’obiettivo che il Cliente si era posto nell’impiego del capitale nel medio lungo periodo, il genere di esperienza che il Cliente ha dichiarato di possedere negli strumenti finanziari e/o assicurativi e il grado di rischio che, sempre il Cliente, è disposto ad accettare relativamente alle perdite potenziali.
Nella maggioranza dei casi sussistono anche altri elementi tuttavia già da questi è possibile rilevare se il questionario sia stato compilato o meno in modo opportunistico tenuto conto del principio basico del compararlo con la coerenza attesa dal punto di vista del profilo finanziario, con i propri intendimenti rilevando a tal proposito elementi quali, a titolo d’esempio, l’età anagrafica che potrebbe rivelarsi incompatibile con l’orizzonte temporale
dichiarato.
A tal riguardo si tenga presente:
1) questionario elaborato con metodo essenzialmente autovalutativo che non contiene alcuna domanda
tesa a indagare la conoscenza del cliente circa le eventuali ricadute di un altrettanto eventuale vincolo
di subordinazione di titoli;
2) mancata effettiva verifica circa la effettiva pregressa esperienza in materia finanziaria del Cliente;
3) mancanza di elementi probatori utili a verificare che l’Intermediario abbia realmente e realisticamente informato il Cliente circa la non appropriatezza dell’investimento;
Tutti questi sono elementi utili a far si che l’Intermediario non vada esente da responsabilità per quanto attiene al puntuale adempimento degli obblighi informativi di tipo preventivo.
Tutto quanto sopra è ancor più vero poi nel caso di obbligazioni proprie ed in particolare qualora le stesse avessero il carattere della subordinazione, e addirittura, a tal proposito si tenga presente altresì che è irrilevante la circostanza tale per cui la normativa all’epoca vigente non prevedesse obblighi di specificazione circa la natura del titolo, giacchè un costante orientamento dei Collegi ha stabilito “il fatto che l’ordinamento non imponesse, imperativamente, che l’indicazione della natura subordinata risultasse sin dall’anagrafica, non significa affatto che l’intermediario non dovesse informare, ai sensi dell’art. 21 TUF, il cliente dell’esistenza della clausola di subordinazione, o che egli potesse persino descrivere lo strumento come appartenente alla classe delle obbligazioni ordinarie” (Decisione n. 3449 del 15.02.2021).
Avv. Marco Solferini