Ricorso ACF: riflessioni sugli elementi di prova ricavabili dal questionario

Tempo di lettura stimato: 4 minuti

Ricorso ACF: riflessioni sugli elementi di prova ricavabili dal questionario

 

Un aspetto interessante che nella mia esperienza di avvocato ho avuto modo più volte di rilevare e di studiare nell’ambito dei reclami e dei ricorsi avanti all’ACF sono le carenze dei questioni MiFID ogni volta che viene messa in discussione la reale capacità e competenza del Cliente in particolar modo nell’apprendere il rischio sotteso a un prodotto finanziario.

 

Mi pregio pertanto di voler sottolineare i seguenti aspetti:

 

1) La circostanza che il questionario sia stato compilato in modo opportunistico è sostenibile ogni volta che esso non si palesi come coerente con gli intendimenti del Cliente, il suo profilo finanziario effettivo e in non pochi casi anche l’età anagrafica, tenuto conto dell’orizzonte temporale dichiarato. Ciascuno di questi tre elementi sono, a ben guardare, fra loro in sinergia e sono ricavabili dall’investimento stesso. Si pensi ad esempio a una persona anziana che sottoscriva un obbligazione che vada ben oltre l’aspettativa di vita media o ancora la presenza nel questionario di un livello di istruzione bassa o anche medio-bassa che non consentirebbe di realizzare il rischio insito in un prodotto finanziario come ad esempio un obbligazione subordinata o emessa da una società in un contesto e con un rating già pericoloso perchè riferibile anche a una necessità di ristrutturazione del debito. Pur se è vero che non possono essere richiamati, a scopo risolutivo, l’accertamento di eventuali violazioni dell’obbligo di condotta di cui l’Intermediario è gravato altresì nel contempo mi pregio di rilevare che il semplice carattere indiziario porta a concepire il piazzamento di un prodotto finanziario come decettivo laddove non ci sia prova alcuna che lo stesso prodotto sia stato oggetto di una adeguata spiegazione atta ad evitare la confusione e il fraintendimento.

 

Le circostanze descritte, fra loro funzionali, comportano una presupposizione molto forte, a tratti spesso precisa e concordante che realizza un quadro di responsabilità coerente e compatibile con il disposto dell’art. 21 del TUF ma anche con le ormai note know your customer rule e la know your product rule. Osservo anche che gli Orientamenti dell’ESMA tendono sempre di più proprio a valorizzare questo genere di esame. Attribuendo quindi al Giudicante la possibilità di perforare il mallo dell’apparenza realmente indagando il concetto di appropriatezza. E ciò sopratutto in ragione del fatto che si evince dalle Guide di ESMA che le imprese, intese come gli Intermediari, non solo stabiliscono ma attuano e mantengono le politiche e le procedure appropriate per chiedere al Cliente o al potenziale tale di fornire le informazioni in merito alla sua conoscenza ed esperienza nel settore degli investimenti pertinenti al tipo specifico di servizio o prodotto di investimento offerto o richiesto. Questo vuol significare che non si trae conclusione alcuna in re ipsa  dai pregressi investimenti. C’è un chiaro elemento di aggiornamento evolutivo e garantista in tutto ciò. Non solo ma sussiste anche la richiesta capacità di autodiagnosi e autoverifica tale per cui l’Intermediario non può cadere in errore o essere tratto in inganno da una invincibile volontà o consapevolezza della controparte perchè esso stesso deve possedere quegli strumenti che vanno oltre la teleguidata ipotesi della sottoscrizione fai da te.

 

2) L’assenza di qualsivoglia domanda tesa ad indagare  o quantomeno a verificare la conoscenza del Cliente circa le eventuali ricadute negative dell’investimento, avuto riguardo anche alla natura del prodotto finanziario ne tanto meno la presenza di elementi che verifichino la sua effettiva pregressa esperienza in materia. Il fatto che l’aspettativa sia quella di un ritorno in termini di profitto non dovrebbe illudere il Cliente relativamente al rischio che lo stesso potrebbe non verificarsi. Indagare le conseguenze della difficoltà che può essere quella di recuperare la somma investita nel caso di subordinazione o di una procedura fallimentare hanno tristemente popolato le cronache degli ultimi anni. Il fatto che il Cliente comprenda che un investimento ad alto rendimento è rischioso non è di per sè indice che egli possa anche ben considerare la possibilità di rientrare dal capitale investito e in che percentuale. Se è vero che la rappresentazione di uno scenario è solo in termini probabilistici e come tale non riveste natura di una vera e propria esemplificazione lo stesso avrebbe non tanto natura dissuasiva come è stato osservato in maniera fallimentare bensì realista andando cioè a meglio toccare il DNA della consapevolezza del Cliente nelle sue vesti di investitore. In quest’ottica i documenti ampliativi ed esplicativi che propongono il concetto di investment grade sono evidentemente concepiti proprio per instillare non tanto il timore o l’apprensione nell’investitore ma il suo istinto di autoconservazione.

 

L’assenza del quale pur mettendo in luce un eventuale rischio non riesce a traslarlo dall’alveo dell’ipotetico, restando il medesimo confinato fin troppo spesso in una dialettica del “caso sfortunato”, della circostanza non voluta e comunque di difficile realizzarsi in termini percentuali.

 

Il manierismo esplicativo del dipendente al servizio dell’Intermediario e in conflitto d’interesse con la sua necessità di produrre la vendita del prodotto finanziario permette di sviare l’attenzione dell’investitore su alcuni aspetti che integrano il concetto noto come “più probabile che non” e cioè il fatto principe che qualora il Cliente investitore fosse stato meglio e più realisticamente informato egli non avrebbe proceduto non tanto all’investimento (non è infatti in commento questa circostanza) bensì al posizionamento dello stesso. Ciò significando che nell’ottica diversificativa della sua allocazione ottimale delle risorse, avrebbe trovato un diverso svolgimento e piazzamento. Anche questo aspetto ho avuto modo di rilevare crea, se debitamente argomentato e saggiamente costruito, un vuoto attorno alle vacue giustificazioni dell’Intermediario che il Giudicante può valutare in modo pertinente, caso per caso, a favore del Cliente investitore.

Avv. Marco Solferini

Pubblicato da:

Marco Solferini

L'avvocato Marco Solferini è esperto in diritto civile, commerciale, bancario, del risparmio e degli investimenti. Ha maturato una significativa esperienza nella tutela dei consumatori, contrattualistica societaria e nel diritto di Famiglia. Si occupa attivamente di diritto delle nuove tecnologie nel Metaverso e Ai in particolare per start-up e PMI. E' titolare dello Studio legale Solferini e svolge la sua attività in Bologna, Roma e Milano: www.studiolegalesolferini.com - info@studiolegalesolferini.com Ha ricoperto e ricopre alcune cariche in enti, società, associazioni. La storia professionale e il curriculum sono disponibili dal profilo Linkedin.

Condividi su facebook
Condividi su whatsapp
Condividi su twitter
condivisi su linkedin
Condividi su pinterest
condividi per email
Commenti
Subscribe
Notificami
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments

Advertising