Piccole incomprensioni possono essere generatrici di grandi conflitti; se poi il conflitto sfocia in un contenzioso giudiziale, magari con l’avvocato che ci mette pure il carico di briscola nel vedere e far vedere al proprio cliente le sole ragioni portate da quest’ultimo, allora il gioco è bello che fatto.
Sento dire spesso che il problema nei conflitti è che le parti non comunicano: tutt’altro!
Vero è che difficilmente le stesse parti si ascoltano, ancora meno si può dire che si capiscano.
Chi vive un conflitto ha urgenza di comunicare anche se lo fa sopraffatto dalle emozioni quali rabbia, frustrazione, risentimento, dolore, tristezza che lo portano a rimanere arroccato alle proprie pretese.
Poche volte nell’esercizio della professione ho visto affievolirsi tali sentimenti all’esito di un procedimento giudiziale, vuoi perché la soddisfazione di una pronuncia favorevole non sempre ripaga degli anni di vita sospesi e dei danari spesi, vuoi ancora perché, come diceva Alessandro Manzoni “il torto e la ragione non si dividono mai con un taglio così netto che ogni parte abbia soltanto dell’una o dell’altro”.
La forza della mediazione sta in questo: restituire la centralità e l’importanza alle persone, più che al conflitto che portano.
Ad oltre dieci anni dall’entrata in vigore del D. lgs 28/2010 cui ha fatto seguito la recente riforma, seppur in ritardo di lustri rispetto a molti altri paesi in Europa e nel mondo, in Italia la mediazione fatica ancora a collocarsi, continuando ad essere presentata come uno dei metodi deflattivi del contenzioso giudiziale più che come occasione di miglioramento e cambiamento personale, culturale e sociale.
La mediazione costituisce invero uno spazio e un tempo dedicato all’ascolto, alla comprensione e accettazione delle reciproche esigenze e differenze; è un’opportunità̀ per tutte le parti che sono coinvolte nel procedimento; è assumersi la responsabilità di decidere il miglior accordo per sé stessi senza delegare ad altri la risoluzione del conflitto che appartiene principalmente a chi lo vive.
Perché tutto ciò si realizzi ritengo indispensabile che il mediatore sia professionista qualificato e in continua formazione, scevro da giudizi e pregiudizi, esperto nella comunicazione e consapevole del proprio ruolo da non protagonista e che gli avvocati non si sostituiscano ai loro clienti, dovendo garantire quella assistenza tecnico-legale necessaria a questi ultimi per assumere scelte consapevoli, scelte che – preme ricordarlo – spettano in ogni caso solo alle parti.
Un buon accordo nasce solo quando si sono comprese ed accettate le esigenze reciproche…meglio ascoltare le esigenze dell’altro se uno vuole vedersi riconosciute le proprie.
Se c’è una cosa che mi è chiara dopo vent’anni di professione è che i conflitti spesso nascono perché le persone non si capiscono e gli avvocati, invece di aiutare i propri assistiti, alimentano la macchina giudiziaria