La coordinazione genitoriale

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Nella gestione dei conflitti familiari si ricorre con sempre maggiore frequenza alla coordinazione genitoriale quale modalità alternativa di risoluzione delle controversie (c.d. ADR – alternative dispute resolution).

L’istituto della parenting coordination nasce negli Stati Uniti d’America a partire dagli anni Novanta: nel 2005 viene definita dall’Association of Family and Conciliation Court (AFCC) quale “un processo di risoluzione alternava delle controversie centrato sul bambino attraverso il quale un professionista della salute mentale e o di ambito giuridico, con formazione ed esperienza nella mediazione familiare, aiuti i genitori altamente conflittuali ad attuare il loro piano genitoriale, facilitando la risoluzione delle controversie in maniera tempestiva, educandoli sui bisogni dei loro figli e, previo consenso delle parti e/o autorizzazione del Giudice, prendendo decisioni nell’ambito del provvedimento del Tribunale o del contratto di nomina”.

Solo di recente, il metodo della coordinazione genitoriale sta ricevendo il beneplacito di magistratura di merito e famiglie nel nostro ordinamento, dove, secondo l’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano, vi è ancora “una difficoltà di adattamento dello strumento (…) ed un’assenza di supporto normativo (…) nonostante la pratica abbia superato decisamente la fase sperimentale”.

Lo strumento della coordinazione genitoriale si basa sulla valutazione del “best interests of the child”, principio cardine del diritto minorile nei Paesi Europei e sancito, per la prima volta, nell’art.3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (1989).

Come anticipato, nel nostro ordinamento l’istituto della coordinazione genitoriale non trova ancora un riscontro normativo, salvo volerlo ricondurre, più genericamente, al potere del Giudice di adottare “ogni altro provvedimento relativo alla prole” di cui all’art. 337 ter, comma 2, c.c.

Il coordinatore genitoriale altri non è che un professionista con conoscenze in psicologia, mediazione familiare, psicopatologia dell’età evolutiva, pedagogia, diritto di famiglia sostanziale e processuale, nonché significative esperienze di lavoro in materia di separazioni e divorzi di coppie altamente conflittuali: per questo, l’AFCC parla, a tal proposito, di “metodo integrato”.

Una figura in grado, proprio in virtù della propria poliedrica specializzazione ed esperienza, di orientare le decisioni dei genitori separati, con elevata conflittualità, verso il soddisfacimento dei bisogni dei loro figli.

Presupposto per l’intervento del coordinatore genitoriale è, quindi, un elevato disaccordo della coppia, tale da pregiudicare la crescita equilibrata ed il benessere psico-fisico dei minori.

Il coordinatore genitoriale, quale figura terza, non antagonista ed incentrata sul minore, interviene per coadiuvare la bigenitorialità, ogniqualvolta i disaccordi all’interno della coppia siano così intensi, pervasivi e persistenti da far perdere di vista i bisogni evolutivi dei figli.

Non ha poteri processuali, in quanto la sua funzione è quella di risolvere il conflitto fuori dal processo e di ridurlo quanto possibile.

Il coordinatore genitoriale può essere nominato con provvedimento del Tribunale in qualità di ausiliario del Giudice, con o senza previo consenso della coppia, oppure volontariamente dai genitori stessi, con mandato privato al professionista per l’attuazione di un “piano genitoriale”, cioè di un programma di genitorialità condivisa.

Nel caso in cui sia la coppia a ricorrervi di propria iniziativa, è necessaria una previa istruttoria mediante espletamento di CTU o relazione da parte dei servizi sociali, sì da consentire al Giudice di nominare il professionista individuato e definire l’ambito del suo operato.

Non mancano pronunce che, tuttavia, rispetto ai casi in cui sia il Giudice a stabilire il ricorso alla coordinazione genitoriale, sanciscono l’illegittimità dei provvedimenti con cui è imposta alla famiglia un percorso di sostegno o terapeutico (Cass. n. 13506/2015).

Si sono viste anche  pronunce di merito che non accolgono con favore il nuovo istituto: in tal senso, il Tribunale di Bologna, con pronuncia dell’11.12.2018, ha ritenuto “non opportuna la nomina di un coordinatore genitoriale in quanto non prevista normativamente e andrebbe a sovrapporsi ai Servizi affidatari, duplicando i centri decisionali e di fatto aumentando la possibilità di contrasti”.

Il metodo della coordinazione genitoriale si contraddistingue per essere incentrato in via prioritaria sulla sicurezza dei bambini ed il loro benessere: il coordinatore è chiamato non solo a fornire consigli e raccomandazioni sulle scelte in cui i genitori si trovano in disaccordo, ma anche ad esercitare un vero e proprio potere decisionale, sostituendosi agli stessi.

La coordinazione si realizza attraverso l’elaborazione di un “piano genitoriale”: un vero e proprio progetto specifico, elaborato su accordo delle parti o disposto dal Giudice, in osservanza del quale il professionista è chiamato a dirimere le controversie dei genitori in ordine alle questioni di primo e secondo livello relative ai figli.

Le questioni di primo livello sono quelle, generalmente, regolate dal provvedimento del Giudice con cui è disposta la separazione: affidamento e collocamento del minore; regime di visita del genitore non collocatario; ripartizione spese di mantenimento.

Le questioni di secondo livello attengono ai relativi profili applicativi: l’attuazione pratica del regime di visite e la gestione delle modifiche per sopravvenute esigenze dei genitori o del figlio; la scelta del percorso di studi e della formazione extrascolastica; la gestione del rapporto figli con i nuovi rispettivi compagni dei genitori ed i loro figli; il cambio di residenza di uno od entrambi i genitori.

Nello svolgimento di tali funzioni, assegnate dal Giudice  e/o dai coniugi che lo hanno incaricato, il coordinatore assume compiti di supervisione dei rapporti genitori-figli; vigilanza sul regime di visita e potere decisionale in caso di disaccordo; coordinamento e confronto con i servizi sociali; redazione di resoconti periodici al Giudice.

Per meglio comprendere la portata delle funzioni attribuibili al coordinatore genitoriale, si segnala, a tiolo esemplificativo, la pronuncia n. 808/2019 del Tribunale di Reggio Calabria nella quale sono stati rimessi al professionista incaricato le seguenti mansioni: “1) verificare la concreta attuazione dei percorsi disposti in favore delle parti; 2) verificare la concreta attuazione degli eventuali percorsi destinati al minore (…) operando un ordinamento con gli interventi in atto sui genitori; 3) mediare tra i genitori affinché compiano, nell’interesse del figlio, scelte condivise in tema di salute, di educazione e di formazione; 4) salvaguardare e preservare la relazione tra genitori e il minore, fornendo le opportune indicazioni eventualmente correttive dei comportamenti disfunzionali dei genitori rispetto al progetto di crescita e autonomizzazione del figlio (…); 5) guidare i genitori a negoziare ed accordarsi sul tempo da trascorrere e condividere con il minore e, per l’effetto, coadiuvare le parti ad aggiornare periodicamente, in funzione delle esigenze del minore, un calendario degli incontri padre-figlio, verificandone nel tempo la concreta attuazione; 6) segnalare con urgenza all’Autorità Giudiziaria ogni condizione di concreto pregiudizio psicofisico del minore che venisse ad essere ravvisata”.

A ben vedere, quindi, il coordinatore genitoriale dotato di formazione ed esperienza multidisciplinare, è una risorsa fondamentale nel panorama dei conflitti familiari: incentrato sul minore, è in grado di consigliare i genitori, di orientarne le scelte e persino di assumerle al loro posto, nel caso in cui il disaccordo della coppia faccia perdere di vista l’obiettivo principale, ovvero quello di perseguire il bene dei propri figli.

Non mancano pronunce di merito che, in relazione a tale ultimo aspetto, valorizzano il ruolo del coordinatore genitoriale.

Il primo a farvi ricorso è stato il tribunale di Civitavecchia nel maggio 2015, prescrivendolo in un caso di elevata conflittualità della coppia, pregiudizievole per la figlia di cinque anni in regime di affidamento condiviso.

Il Tribunale di Pavia, con pronuncia del 16.04.2020, di fronte all’impossibilità per una coppia di attuare una genitorialità condivisa, ha suggerito di ricorrere alla genitorialità coordinata, quale metodo per consentire alla coppia di “coltivare il loro intimo desiderio di appianare i contrasti … reinventandosi come persone capaci di relazioni affettive”; capacità, questa, evidentemente dissoltasi nelle continua tensioni familiari.

Nello stesso senso, il Tribunale di Pavia motiva il ricorso al coordinatore genitoriale per un’altra coppia: “E’ per questo che si ritiene di accordare (…) fiducia alla coppia genitoriale, demandando loro il compito di riuscire ad andare oltre la logica della conflittualità, con invito, altresì, a verificare la possibilità di ricorrere alla figura del “coordinatore genitoriale”, ritenendo tale figura, nel caso di specie, quella maggiormente idonea ad aiutarli nell’attuazione del progetto di genitorialità condivisa, a mantenere basso – se non ad evitare – il livello di conflitto”.

Da segnalarsi è anche la pronuncia del Tribunale di Roma del 04.5.2018 con la quale è stata disposta la nomina di un ausiliario avente funzioni di pedagogista/educatore per attuare un intervento di coordinazione genitoriale, quale strumento finalizzato a rendere “non stereotipati” i provvedimenti in materia di relazioni genitori-figli.

A ben vedere, quindi, pur nascendo come metodo di risoluzione alterativa delle controversie, la sua naturale applicazione, almeno fino ad ora, è l’ambito giudiziale, nel quale si inserisce quale “modello integrato”, a ribadire la poliedrica formazione ed esperienza del coordinatore genitoriale.

La mancanza di un riferimento normativo espone l’istituto della coordinazione genitoriale a criticità e applicazioni non sempre rispondenti alla funzione e scopo per il quale è stato elaborato, ovvero il contenimento della elevata conflittualità nella coppia, finalizzato ad una valorizzazione del principio di bigenitorialità nell’interesse esclusivo del minore.

Pubblicato da:

Marina Meucci

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