La cartella di pagamento sottoscritta con le firme “PAdES” o “CAdES” è legittima

Tempo di lettura stimato: 6 minuti

(Cass. n. 24446 del 10 settembre 2021)

di Maurizio Villani e Lucia Morciano

 

1.Il principio di diritto 2. Le questioni giuridiche sollevate e l’iter motivazionale dell’ordinanza

 

1.Il principio di diritto

La Suprema Corte di Cassazione, nella ordinanza n. 24446 del 10 settembre 2021, ha sancito il principio di diritto secondo cui la cartella di pagamento sottoscritta con firma digitale “CAdES”, anziché con firma digitale “PAdES”, è valida stante l’equivalenza tra le predette firme – sia pure con le differenti estensioni “.p7m” e “.pdf” – in conformità agli standard previsti dal Reg. UE n. 910 del 2014 e alla relativa decisione di esecuzione n. 1506 del 2015.

Con la pronuncia in commento, inoltre, la Suprema Corte ha chiarito che la natura sostanziale e non processuale della cartella di pagamento non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi alla disciplina tributaria. Conseguentemente, il rinvio disposto dall’art. 26, comma 5, D.P.R. n. 602/1973 (in tema di notifica della cartella di pagamento) all’art. 60 D.P.R. n. 600/1973 (in materia di notificazione dell’avviso di accertamento), il quale, a sua volta, rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile, comporta, in caso di nullità della notificazione della cartella di pagamento, l’applicazione dell’istituto della sanatoria per raggiungimento dello scopo, di cui all’articolo 156 c.p.c.

 

  1. Le questioni giuridiche sollevate e l’iter motivazionale dell’ordinanza

La ricorrente ha dedotto con un unico motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione e falsa applicazione dell’art. 149-bis, in relazione all’art. 156 c. p.c.; del D.Dirig. 16 aprile 2014, art. 112 – recante le specifiche tecniche previste dal D.M. Giustizia n. 44/ 2011, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”.

Nello specifico, la ricorrente ha rilevato che il giudice a quo ha errato sia nel ritenere nulla la cartella impugnata notificata a mezzo posta elettronica certificata alla contribuente, in quanto priva di sottoscrizione digitale, non avendo il relativo file l’estensione “. p7m” ma quella “.pdf”; sia nel non applicare comunque il principio di sanatoria per conseguimento dello scopo ex art. 156 c.p.c., applicabile anche alla notifica degli atti tributari.

La Suprema Corte nell’ordinanza in esame ha ritenuto ammissibile il motivo de quo per le ragioni di seguito enunciate.

In via preliminare, i giudici di legittimità nel loro iter motivazionale hanno riaffermato un principio enunciato in una fattispecie similare (Cass. ordinanza n. 6417/2019): in base alla quale “per quanto riguarda la riferibilità della cartella alla pubblica amministrazione è stato statuito che l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo[…]”

Di talchè, a norma dell’art.25 D.P.R.n.602/1973, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice (Cass. n. 25773 del 5 dicembre 2014 ).

Tale principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione in un’altra pronuncia (Cass. n. 27561 del 30 ottobre 2018) , nella quale ha affermato che in tema di requisiti formali del ruolo d’imposta, l’art.12 del D.P.R. n.602/1973, non prevede alcuna sanzione per l’ipotesi della sua omessa sottoscrizione, sicchè non può che operare la presunzione generale di riferibilità dell’atto amministrativo all’organo da cui promana, con onere della prova contraria a carico del contribuente, che non può limitarsi a una generica contestazione dell’esistenza del potere o della provenienza dell’atto, ma deve allegare elementi specifici e concreti a sostegno delle sue deduzioni.

D’altro canto, la natura vincolata del ruolo, che non presenta in fase di formazione e redazione margini di discrezionalità amministrativa, comporta l’applicazione del generale principio di irrilevanza dei vizi di invalidità del provvedimento, ex art.21 octies L. n. 241 del 1990 (Cass. n. 27561 del 30 ottobre 2018).

Sotto il diverso profilo relativo alla possibilità di notificare un atto mediante PEC, è stato affermato, anche dalle Sezioni Unite e in più occasioni:

  • che l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna dello stesso ha comunque prodotto il risultato della sua conoscenza e determinato così il raggiungimento dello scopo legale ( S.U. n. 23620 del 28 settembre 2018);
  • che l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna telematica ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale ( n. 7665/2016 );
  • e, ancora, che in tema di processo telematico, a norma del D.Dirig. 16 aprile 2014, articolo 12, di cui al Decreto Ministeriale n. 44 del 2011 – Ministero della Giustizia– articolo 34, in conformità agli standard previsti dal Reg. UE n. 910 del 2014, e alla relativa decisione di esecuzione n. 1506 del 2015, le firme digitali di tipo “CAdES” e di tipo “PAdES” sono entrambe ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni “.p7m” e “.pdf”. Tale principio di equivalenza, secondo i giudici di legittimità, trova applicazione anche in relazione alla validità ed efficacia della firma per autentica della procura speciale richiesta per il giudizio in Cassazione, ai sensi dell’articolo 83, comma 3 c.p.c, dell’art. 18, comma 5 del Decreto Ministeriale n. 44 del 2011e dell’articolo 19 bis, commi 2 e 4 del citato D.Dirig.(Cass. 27 aprile 2018, n. 10266), dovendosi altresì tenere conto che è stato affermato che la natura sostanziale e non processuale della cartella di pagamento non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria.

Ebbene, il rinvio disposto dall’art. 26, comma 5, del D.P.R.n.602/1973 (in tema di notifica della cartella di pagamento) all’art. 60 D.P.R. n. 600/1973 (in materia di notificazione dell’avviso di accertamento), il quale, a sua volta, rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile, comporta, in caso di nullità della notificazione della cartella di pagamento, l’applicazione dell’istituto della sanatoria per raggiungimento dello scopo, di cui all’articolo 156 c.p.c. (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27561).

Infine, contrariamente alla contestazione sollevata da parte della contribuente – secondo cui il giudice d’appello avrebbe accertato, fondando su tale premessa la propria decisione, che l’atto sarebbe stato ab origine privo di sottoscrizione digitale, a prescindere dal tipo di firma utilizzato– i giudici di legittimità hanno chiarito che tale conclusione non trova riscontro nella motivazione della sentenza impugnata, che invece “ha espressamente interpretato l’eccezione della contribuente nel senso che il difetto di sottoscrizione digitale sarebbe dipeso dall’adozione del formato “.pdf” invece di quello “.p7m” (cfr. pag. 3 della motivazione: “senza l’estensione del cosiddetto “.p7m” e, dunque, senza la sottoscrizione digitale”); in quanto la cartella avrebbe dovuto avere “l’estensione “.p7m” caratterizzante i documenti firmati digitalmente” (pag. 6); poichè quella “.pdf”, derivata dall’utilizzo dell’algoritmo “PAdES”, non garantirebbe l’identificabilità dell’autore e l’immodificabilità del documento (pagg. 7-9 della motivazione della sentenza impugnata, con richiami di merito sul punto)”.

A tal proposito, i giudici di legittimità nell’ordinanza in esame (Cass. n. 24446/2021) hanno richiamato una precedente pronuncia a Sezioni Unite (Cass.S.U.n.10266/2018), secondo cui le firme digitali di tipo “CAdES” e di tipo “PAdES” sono entrambe ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni “.p7m” e “.pdf”( in tal senso conforme Cass. n. 30927 /2018).

Tale orientamento ermeneutico trova espresso fondamento nello stesso diritto comunitario, in particolare nel Reg. UE, n. 910 del 2014 e nella consequenziale decisione esecutiva della Comm. UE n. 2015/1506, secondo cui “le firme digitali di tipo CAdES, ovverosia CMS (Cryptographic Message Syntax) Advanced Electronic Signatures, oppure di tipo PAdES, ovverosia PDF (Portable Document Format) Advanced Electronic Signature, che qui interessano, sono equivalenti e devono essere riconosciute e convalidate dai Paesi membri, senza eccezione alcuna(Cass. S. U, n. 10266/2018; Cass., n. 30927/2018).

Tanto chiarito, condividendo la ratio decidendi dei giudici di seconde cure, la Corte di Cassazione con la pronuncia in esame ha ribadito che “La natura sostanziale e non processuale della cartella di pagamento non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria, sicchè il rinvio operato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 26, comma 5, al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 60 (in materia di notificazione dell’avviso di accertamento), il quale, a sua volta, rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile, comporta, in caso di irritualità della notificazione della cartella di pagamento, in ragione della avvenuta trasmissione di un file con estensione “pdf” anziche’ “.p7m”, l’applicazione dell’istituto della sanatoria del vizio dell’atto per raggiungimento dello scopo ai sensi dell’articolo 156 c.p.c.” (Cass., n. 6417/2019; Cass., n. 27561/2018)”.

Alla luce di tanto, i giudici di legittimità hanno concluso che, essendo nel caso de quo impugnata la cartella anche nel merito (ossia per la pretesa carenza della sua motivazione, come risulta dalla sentenza d’appello), anche l’ipotetica nullità sarebbe stata comunque sanata dal raggiungimento dello scopo relativo alla sua conoscenza.

Pubblicato da:

Maurizio Villani

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