Molestie telefoniche: basta l’insistenza e non importano le intenzioni dell’imputato

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Per configurare il reato di molestie telefoniche non importano le motivazioni alla base del comportamento dell’imputato. Anche le telefonate senza risposta configurano il reato.

 

La cassazione con due recentissime sentenze ha chiarito che il reato previsto dall’articolo 660 codice penale è configurabile in caso di insistenza e ripetitività del comportamento e le motivazioni dell’agente sono irrilevanti.

La cassazione con la sentenza n. 42683 del 22 novembre 2021 sezione I ha stabilito che le telefonate insistenti in orario notturno configurano il reato di molestie a prescindere dalle motivazioni che sono alla base del comportamento dell’agente.

La motivazione della sentenza citata dispone: “Per il perfezionamento del reato in oggetto è richiesto che la volontà della condotta e la direzione della volontà siano direzionate verso il fine specifico di interferire inopportunamente nell’altrui sfera di libertà.

In tal senso, ai fini della sussistenza del reato, gli intenti persecutori dell’agente sono del tutto irrilevanti, una volta che si sia accertato che, comunque, a prescindere dalle motivazioni che sono alla base del comportamento, esso è connotato dalla caratteristica della petulanza, ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che finisce, per il modo stesso in cui si manifesta, per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone”.

Sulla stessa lunghezza d’onda la seconda sentenza dell’8 luglio del 2021 n. 40078 che precisa: “ai fini della configurabilità del reato di molestie, previsto dall’art. 660 cod. pen.”, per petulanza si intende un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri (Sez. 1, n. 3758 del 07/11/2013 – dep. 28/01/2014, Moresco, Rv. 258260).

Un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nella altrui sfera di libertà, con la conseguenza che la pluralità di azioni di disturbo integra l’elemento materiale costitutivo del reato e non è, quindi, riconducibile all’ipotesi del reato continuato (Sez. 1, n. 6064 del 06/12/2017, depositata 1’8/02/2018, Girone, Rv. 272397); – sempre a detti fini è necessaria una effettiva e significativa intrusione nell’altrui sfera personale che assurga al rango di “molestia o disturbo” ingenerato dall’attività di comunicazione in sé considerata e a prescindere dal suo contenuto (Sez. F, n. 45315 del 27/08/2019, Manassero, Rv. 277291: fattispecie nella quale la Corte ha riconosciuto integrata la contravvenzione nell’invio ripetuto di squilli telefonici e sms non graditi dal destinatario); – in tema di molestia e disturbo alle persone, l’elemento soggettivo del reato consiste nella coscienza e volontà della condotta, tenuta nella consapevolezza della sua idoneità a molestare o disturbare il soggetto passivo, senza che possa rilevare l’eventuale convinzione dell’agente di operare per un fine non biasimevole o addirittura per il ritenuto conseguimento, con modalità non legali, della soddisfazione di un proprio diritto (Sez. 1, n. 50381 del 07/06/2018, Vidoni, Rv. 274537: in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata, che aveva ravvisato il reato di molestie nella condotta dell’imputato, il quale aveva effettuato sull’utenza telefonica della ex convivente nove chiamate, rimaste senza risposta, in un lasso temporale di poche decine di minuti ed in orario notturno, affermando di avere agito con il solo fine di concordare una visita con la figlia).

Pubblicato da:

Riccardo Radi

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