Strategie difensive dell’appaltatore nel contenzioso per i danni a terzi dovuti alla violazione dell’obbligo di vigilanza/sorveglianza delle strade pubbliche

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I contratti di appalto predisposti dalla Pubblica Amministrazione prevedono espressamente, oltre a quanto stabilito dalla legge, che la società aggiudicatrice del lavoro di manutenzione si assuma, tra i vari compiti, l’onere di vigilare sui cantieri nonché di manlevare e garantire l’Ente pubblico da eventuali richiese di risarcimento di terzi per i danni lamentati.

Di seguito si riferirà al riguardo, avendo come prospettiva la tutela della ditta appaltatrice, esponendo le conclusioni della dottrina e della giurisprudenza più aggiornate.

Sommario

  1. Le alternative possibili per la ditta appaltatrice in caso di richiesta di risarcimento danni da terzi o di manleva e garanzia dall’Ente pubblico.
  2. Il rapporto esistente tra la responsabilità della PA e quella della ditta appaltatrice riguardo ai danni lamentati dal terzo.
  3. La fonti normative della responsabilità dell’Ente e della ditta appaltatrice nei riguardi del terzo danneggiato.
  4. I limiti del dovere di vigilanza/sorveglianza previsto dall’art. 2051 cc e l’esenzione o riduzione della responsabilità della ditta appaltatrice.

 

  1. Le alternative possibili per la ditta appaltatrice in caso di richiesta di risarcimento danni da terzi o di manleva e garanzia dall’Ente pubblico.

 

Qualora si verifichi tale evento, alla ditta appaltatrice si presentano varie alternative difensive che la stessa deve vagliare attentamente in base alle proprie esigenze prima di adottare una scelta.

Il rimedio più evidente è quello di segnalare il sinistro alla propria Compagnia assicuratrice del rischio responsabilità civile ed avvalersi della tutela, anche processuale, di quest’ultima.

Tuttavia, in tal caso occorre verificare se il sinistro in questione rientra tra quelli per i quali le condizioni generali della polizza assicurativa prevedono la copertura nonché il limite della stessa, da valutare in base al massimale previsto nella polizza stipulata.

Superato questo scoglio, il passaggio successivo è quello di controllare se è prevista una franchigia e l’entità della medesima, da verificare in relazione all’entità dell’importo domandato dal terzo a titolo di risarcimento dei danni.

Qualora la polizza non garantisca, in tutto od in parte, l’appaltatore per il rischio, quest’ultimo si troverebbe esposto alle conseguenze derivanti da un possibile accoglimento delle domande del terzo nelle sedi giudiziarie.

Si aggiunge che, come previsto anche nelle condizioni generali di polizza, in caso di sinistro la Compagnia assicuratrice assicura la difesa, anche giudiziaria, dell’assicurato con i fiduciari che si è scelta finché ne ha interesse e lo ritiene opportuno.

Più precisamente, l’Assicuratore valuta se rispetto ai propri interessi è più opportuno difendere il proprio assicurato oppure dar corso alla liquidazione del danno tacitando direttamente il danneggiato; ciò avviene sempre e comunque entro il limite del massimale di polizza.

Pertanto, la società assicurata corre il rischio che l’Assicurazione non ritenga conveniente respingere la domanda risarcitoria del terzo e resistere nel giudizio, lasciando così la ditta appaltatrice senza difesa e copertura di fronte alle richieste del danneggiato che superino il massimale previsto nella polizza.

E’ inoltre opportuno segnalare che una delle più frequenti eccezioni formulate dai legali incaricati dall’Assicurazione in sede giudiziaria è quella di contestare l’operatività della polizza e la mancata copertura assicurativa, con motivazioni spesso pretestuose che l’appaltatore assicurato, nel caso di costituzione nel processo avvalendosi della difesa di un proprio legale, può validamente contestare per poter far riconoscere la copertura assicurativa.

Pertanto, la ditta appaltatrice deve valutare se nel caso specifico sia opportuno conferire un mandato per la difesa anche ad un proprio legale di fiducia.

 

  1. Il rapporto esistente tra la responsabilità della PA e quella della ditta appaltatrice riguardo ai danni lamentati dal terzo.

 

E’ un compito dell’Ente territoriale quello di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade di sua proprietà e della segnaletica stradale rispettivamente ai sensi degli artt. 14 e 38 D.Lgvo n. 285/1992 (cd. Codice della Strada).

L’esistenza di un contratto d’appalto per la manutenzione delle strade di parte del territorio dell’Ente pubblico non esonera quest’ultimo dal suo obbligo di sorveglianza e di controllo, atteso che il contratto d’appalto costituisce soltanto lo strumento tecnico-giuridico per la realizzazione in concreto del compito istituzionale (ex multis: Cass. 05/07/2017, n. 16509; Cass. Civ. 22/01/2015, n. 1146; Cass. 23/01/2009, n. 1691; Cass. 26/09/2006, n. 20825; Corte di appello di Roma 05/12/2022, n. 7879).

Tale obbligo non può essere escluso o limitato dall’Ente pubblico neppure inserendo apposite clausole in tal senso nel contratto di appalto, in quanto le stesse sarebbero nulle ex art. 1229 cc per violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico.

Ne consegue che nei confronti del terzo danneggiato sussiste una responsabilità solidale dell’Ente con la ditta appaltatrice per i danni causati all’utente dalla presenza di situazioni di pericolosità derivanti dall’esecuzione dei lavori di manutenzione, anche se eseguiti dalla società appaltatrice.

L’Ente e la ditta appaltatrice sono pertanto obbligati in solido ex art. 2055 cc per i danni causati al terzo, salvo il diritto dell’obbligato (Ente o appaltatrice) che ha provveduti al risarcimento del terzo di rivalersi nei confronti degli altri condebitori in proporzione al grado di responsabilità accertato di ciascuno.

Per evitare il rischio che, in caso di condanna, uno dei corresponsabili debba risarcire i danni del terzo danneggiato e poi intentare una nuova causa nei confronti degli altri condebitori al fine di individuare le colpe ed il grado di responsabilità di ciascuno, per una loro rispettiva e proporzionale condanna e rivalsa, è opportuno che, nello stesso processo promosso dal danneggiato, venga espressamente chiesto dall’Ente e/o dalla ditta appaltatrice convenuta in giudizio al Magistrato di specificare e separare le responsabilità di ciascuno degli obbligati (Ente e ditta appaltatrice).

In modo costante la Giurisprudenza ha tuttavia individuato una ipotesi di esenzione di responsabilità da parte della P.A. nel caso vi sia stato il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sulla res, come ad esempio può accadere – ma non necessariamente succede –  nell’ipotesi  di un appalto che determini l’apertura di un cantiere con la completa chiusura al traffico della strada, posto che in tal caso ricadrà sul soggetto appaltatore l’onere di provvedere a quanto idoneo ad evitare agli utenti i pericoli connessi.

Tuttavia, anche in questa ipotesi è possibile per la ditta appaltatrice ridurre o persino escludere la propria responsabilità dimostrando che il potere sulla res non fosse esclusivo (ad esempio l’Ente aveva la direzione e/o il controllo del cantiere oppure non aveva svolto delle proprie incombenze necessarie ad evitare pericoli) ovvero fosse solo apparente e non effettivo.

 

  1. La fonti normative della responsabilità dell’Ente e della ditta appaltatrice nei riguardi del terzo danneggiato.

 

Le fonti delle descritte responsabilità verso il terzo danneggiato sono rinvenute fondamentalmente nelle previsioni degli artt. 2051 cc (responsabilità da cosa in custodia) e 2043 cc (responsabilità per fatto illecito).

In merito alle differenze esistenti tra i due istituti giuridici, quella che più rileva ai fini del presente articolo, impostato sulle strategie difensive, è soprattutto il diverso onere probatorio di cui sono gravate le parti del processo per poter far valere le proprie ragioni.

Difatti, mentre l’azione prevista dall’art. 2043 cc richiede che il danneggiato provi l’esistenza del dolo o della colpa da parte del danneggiante, nel caso dell’azione proposta ex art. 2051 cc il nostro ordinamento giuridico prevede la responsabilità del custode per la sola circostanza di avere la gestione esclusiva del bene, mentre il danneggiato ha solo l’onere di dimostrare il nesso di causalità tra il danno ed il bene in custodia.

L’art. 2051 cc prevede che il custode possa liberarsi dalla responsabilità ivi prevista unicamente nel caso in cui provi il caso fortuito e cioè un evento, caratterizzato dall’oggettiva imprevedibilità ed inevitabilità, che sia idoneo di per sé ad interrompere il nesso causale.

E’ evidente che, sotto il profilo processuale, tale norma avvantaggi notevolmente il danneggiato.

Pertanto, in funzione di una difesa della società appaltatrice, è opportuno soffermarsi sui limiti di tale tipo di responsabilità.

 

  1. I limiti del dovere di vigilanza/sorveglianza previsto dall’art. 2051 cc e l’esenzione o riduzione della responsabilità della ditta appaltatrice.

 

La Giurisprudenza prevalente afferma oramai in modo costante che, ai fini dell’esenzione dalla responsabilità ex art. 2051 cc, non assume alcun rilievo il comportamento del custode, per cui è indifferente se il medesimo abbia provveduto con diligenza o meno al dovere di vigilanza/sorveglianza del bene seguendo tutte le normative e le cure previste.

Invece, la responsabilità del custode può essere esclusa solo dalla prova di un evento di un soggetto terzo, caratterizzato da un’oggettiva imprevedibilità ed inevitabilità, o dalla condotta del danneggiato che siano stati idonei in modo autonomo ad interrompere il nesso causale tra il bene in custodia ed il danno.

Il concetto di “caso fortuito” richiamato dall’art. 2051 cc non è quindi costituito dalla condotta del custode, diligente o meno che sia, ma da eventi che attengono al come si è verificato il danno e può essere integrato da fenomeni naturali, dal fatto di terzi estranei od anche dalla condotta poco diligente dello stesso danneggiato, purché tutti abbiano i requisiti dell’imprevedibilità, dell’eccezionalità ed inevitabilità (cfr. Cass. 11/03/2021, n. 6826; Cass. 18/06/2019, n. 16295; Cass. ord. 19/03/2018, n. 6703; Cass., ord. 27/03/2017, n. 7805; Cass. 12/04/2013, n. 8935; Cass. 13/07/2011, n. 15389; Cass. 20/11/2009, n. 24539; Cass. 25/07/2008, n. 20427; Cass. 06/06/2008, n. 15042; Corte appello Palermo 16/02/2023 , n. 333; Corte appello Napoli 27/07/2022, n. 3557; Corte appello Bari 12/07/2021, n. 1328).

In altre parole, relativamente al caso di manutenzione di una strada pubblica, è pacifico che la ditta appaltatrice, come anche l’Amministrazione pubblica, potrà essere esentata dalla responsabilità di cui all’art. 2051 cc qualora dimostri che il danno sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, come ad esempio, la perdita o l’abbandono sulla pubblica strada di oggetti pericolosi, che non sia stato possibile conoscere od eliminare con immediatezza od un tempo ragionevole, neppure con la più diligente attività di manutenzione.

Inoltre, per il custode sarà motivo di esenzione dalla responsabilità dell’art. 2051 cc anche la condotta del medesimo utente, qualora questi non si sia attenuto alle comuni regole di diligenza richieste per l’utilizzo del bene, attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze.

In ogni caso, la responsabilità del custode, qualora non possa essere esclusa, può essere limitata ex art. 1227 cc nel caso riesca a dimostrare che l’evento dannoso ha trovato una causa o concausa nella condotta del terzo e/o in quella imprudente dello stesso danneggiato (cfr. Cassazione 27/03/2024, n. 8306; Cass. 24/01/2024, n. 2376; Cass. 20/07/2023, n. 21675).

Pubblicato da:

Leonardo Del Vecchio

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