Obbligazioni in valuta russa (rubli). Mancato pagamento delle cedole. Mancata conversione in euro. Riflessioni su alcuni possibili profili di responsabilità.

Tempo di lettura stimato: 13 minuti

L’oggetto del presente articolo riguarda il capitale investito in titoli emessi in valuta della Russia (rubli).

In particolare quelle posizioni in cui l’obbligazione che paga anche una cedola è giacente presso un intermediario con un dossier titoli intestato al Cliente per un valore nominale in rubli.

Non sono certo pochi i risparmiatori che si trovano in una situazione tale per cui non ottengono il pagamento della cedola di interessi sull’obbligazione a causa delle note sanzioni imposte alla Russia che peraltro renderebbero impossibile provvedere al cambio rubli/euri.

Principalmente le condotte difensive opposte dalle Banche Italiane coinvolte per il tramite delle richieste dei Clienti si sono orientate sulle seguenti esimenti che a loro dire le libererebbero da qualsivoglia responsabilità:

1) per la custodia la Banca si serve di un subdepositario nazionale, che a sua volta gestisce l’eventuale negoziazione, l’amministrazione ed il regolamento dei flussi finanziari del titolo per il tramite di un primario intermediario finanziario, che a sua volta agisce con gli ulteriori subdepositari;

2) l’oggettiva impossibilità per il subdepositario, e per i suoi corrispondenti esteri, di procedere alla richiesta di liquidazione della Cedola dell’Obbligazione emessa e regolata in valuta russa (rublo), poiché al momento non è consentito il cambio in Euro;

Giova sottolineare che le risposte che si ottengono dagli Istituti di credito sono anche molto dissimili tra loro. L’impressione è che in una buona percentuale di casi le singole filiali interessate per via della presenza di un Cliente che nell’ipotesi più frequente chiede il pagamento delle proprie obbligazioni (come ad esempio nel caso delle WorldBank TF5%) replicano in modo disimpegnativo denotando poca preparazione sul caso in esame e trincerandosi dietro una serie di spiegazioni on demand parziali se non inaccurate. Sono spiegazioni sul perché del mancato accredito delle somme.

Naturalmente stando così le cose ci si domanda anche se alla scadenza delle obbligazioni in questione anche il rimborso subirà o meno la stessa sorte (al momento pare quantomeno probabile).

In buona sostanza quello che seppur a macchia di leopardo un po’ tutte le Banche oppongono è che le subdepositarie a livello europeo sono da tempo impossibilitate a dare corso a trasferimenti e pagamenti, essendo i loro conti bloccati presso la N.S.D. (National Settlement Depositary), su disposizioni impartite dalle Autorità russe.

Fermo restando che non è una risposta sbagliata, ma non è nemmeno una risposta corretta, più che altro sembra inutile nell’ottica dei diritti del cliente.

Anzitutto che cos’è il National Settlement Depositary.

Leggendo il documento performance review si apprende che: “is Russia’s central securities depository, offering settlement and depository services for financial market players. Established as the main depository for government securities, the NSD soon became the largest depository by value of assets held on deposit and Russia’s only settlement depository servicing all types of Russian issue-grade securities”.

Come noto sono stati adottati numerosi provvedimenti restrittivi (punitivi) nei confronti della Russia e naturalmente del suo sistema finanziario. Dal sito della U.E. dove sono catalogati i provvedimenti adottati apprendiamo che: The EU imposed blocking sanctions on NSD on 3 June 2022″.

A tal proposito è meritorio anche precisare che “on 12 August 2022, National Settlement Depository (NSD) filed a lawsuit with the General Court of the European Court of Justice in Luxembourg seeking to lift the restrictions imposed on the depository. The purpose of the lawsuit is to prove that NSD’s inclusion in the EU sanctions lists was unlawful and unjustified, and that Russian and international investors have suffered as a result”.

Ciò che si apprende dalla lettura dei provvedimenti emessi, che non rileva anche in ragione della loro lunghezza riproporre in questa sede, è che producendo un effetto domino restrittivo o se vogliamo a cascata un provvedimento tutt’altro che mirato ma voluto e ricercato in termini tanto espansivi quanto elastici ha cercato di influenzare il maggior numero di rapporti finanziari con la Russia in un ottica punitiva. Del resto si dovrebbe trattare di sanzioni. Con ciò realizzando però un problema di non poco momento nei diritti di terzi loro malgrado coinvolti.

Inoltre gli emittenti russi non paiono insolventi: le cedole vengono pagate, ma non essendo possibile la conversione non vengono accreditati gli importi.

Non è di poco momento questa considerazione per via del fatto che una siffatta situazione impedisce di utilizzare questi investimenti quasi tutti in deposito e amministrazione titoli anche per esempio come forme di garanzia. In questo caso non è esattamente come averli ma non poterli toccare, essendo una condizione più simile al non averli proprio.

Per effetto è probabile che il Cliente a seguito delle sue rimostranze si sia visto opporre solo l’illiquidità delle transazioni in valuta estera (rublo), con conseguente impossibilità di “provvedere al cambio o alla liquidazione di importi in divisa russa”.

Di fronte alle legittime proteste le risposte in diritto con cui l’interprete potrebbe doversi confrontare potrebbero seguire due filoni:

1) Così stando le cose la prima ipotesi che viene da formulare è che si tratti di un‘impossibilità temporanea della prestazione disciplinata dall’art. 1256 c.c., che è tale se dipende da causa prevedibilmente transitoria” conseguentemente ricorrendo una ipotesi di esenzione da responsabilità per “factum principis” che esime da responsabilità quando non vi sia colpa imputabile al debitore per l’intervento dell’autorità, ovvero qualora costui provi di essersi attivato in ogni modo, secondo l’ordinaria diligenza, per vincere o rimuovere la resistenza o il rifiuto dell’autorità”.

2) Mentre con riferimento al dovere di informare il Cliente relativamente allo status della situazione e cioè all’impossibilità di provvedere all’accredito delle somme, posto che le obbligazioni in effetti vengono in non pochi casi pagate ma non è possibile l’incasso vero e proprio la prima ipotesi difensiva potrebbe essere quella relativa all’impossibilità (sempre temporanea) di eseguire il mandato ex art. 1710 c. 2, c.c. e procedere all’accredito della somma con conseguente liquidazione della cedola ed al relativo controvalore.

In aggiunta poi la Banca potrebbe non volersi assumere alcuna responsabilità per l'(in)attività del subdepositario, anche in ragione del fatto che l’utilizzo di un subdepositario è stato espressamente e a suo tempo autorizzato dal cliente.

A questo punto merita osservare che ci sono già tre interessanti decisioni dell’ACF (Arbitro per le Controversie Finanziarie) che ci permettono di inquadrare quella che per il momento è considerato l’orientamento stragiudiziale per rispondere dei mancati pagamenti delle cedole (e molto probabilmente dei mancati rimborsi). Si tratta delle decisioni: 7002/2022, 7052/2023 e 7385/2024.

In esse possiamo riscontrare i seguenti principi: “l’odierno Intermediario ha allegato documentazione specifica idonea a dimostrare che, a seguito delle sanzioni disposte nei confronti della Russia dopo l’inizio del conflitto russo-ucraino, le banche depositarie non hanno potuto riscuotere, salvo permessi eccezionali, le somme in rubli russi bloccate nei conti della depositaria detenuti presso la National Settlement Depository (NSD). Conti nei quali non possono che ritenersi depositate anche le liquidità in rubli russi rivenienti dal rimborso delle Obbligazioni acquistate dal Ricorrente, con scadenza 21 marzo 2022”

Come pure il fatto che: “altri intermediari avrebbero provveduto al rimborso dei titoli, non costituisce in sé ragione sufficiente per l’accoglimento del presente ricorso, dal momento che esistono numerose variabili che possono aver determinato i rimborsi da parte degli evocati intermediari”

Tutto ciò considerato la prima domanda che ci dobbiamo porre ad avviso dello scrivente è se effettivamente ci troviamo in presenza di un c.d. factum principis

Quindi il factum principis indica una causa di impossibilità oggettiva (insieme al caso fortuito e alla forza maggiore) ad effettuare una prestazione, derivante da ordine dell’autorità o da provvedimento autoritativo. Sostanzialmente, poiché l’intervento dell’autorità esula dalla sfera di controllo del debitore, tale fatto non gli è imputabile, e quindi l’obbligazione si estingue senza che residuino conseguenze per lui negative. Come noto il factum principis fungendo da manleva ha un effetto importante avuto riguardo all’interpretazione di numerosi articoli del codice civile come il 1218, 1256 e il 2043.

Il factum principis o legittimo impedimento (come viene spesso proposto in alcuni testi) sarebbe un provvedimento della pubblica autorità avente il carattere dell’imperatività (quindi obbligo assoluto ed ineluttabile), il quale intervenendo senza possibilità di scelta rende la prestazione genericamente attesa dal creditore a carico del debitore, come impossibile da potersi assolvere o svolgere.

Si comprende quindi agevolmente il motivo del perché possa essere richiamato come scusante negli scritti difensivi delle Banche ma giova sul punto rimarcare che affinché si possa parlare di factum principis le posizioni sia per la contrattualistica che per le obbligazioni avuto riguardo alle conseguenze pratiche dovrebbero essere omogenee: non può valere per alcuni ma non per tutti. Se alcuni ottengono il pagamento e altri no, non è factum principis.

Se è un ordine imperativo ineluttabile della pubblica autorità che impedisce l’esecuzione senza ma e senza se non possono esserci eccezioni però già quanto riportato nelle decisioni sopra contrassegnate dell’Arbitro per le Controversie Finanziarie suggerisce invece che alcuni Intermediari stiano pagando. Questa disparità di trattamento non lega con la natura del factum principis laddove che questo valga solo per alcuni o che sia sottoposto a condizione che l’Intermediario non riesca a trovare il modo di far percepire al cliente i propri averi non pare condivisibile.

Senza contare che anche dal punto di vista fiscale se si trattasse di factum principis questi investimenti in titoli dematerializzati dovrebbero seguire una determinata sorte.

Sul punto vale la pena ricordare che per la giurisprudenza la mera sussistenza del factum principis non risulta di per sé sufficiente a scagionare il debitore per l’inadempimento liberandolo automaticamente da ogni responsabilità laddove l’evento provvedimento dell’Autorità dev’essere tale rispetto al quale non è oggettivamente possibile resistere (vis cui resisti non potest). Si realizza cioè un costringimento inevitabile per colui il quale lo subisce che si risolve nel dover compiere un atto positivo o negativo.

Nell’ambito civilistico non a caso la forza maggiore assume, ex. art. 1218 c.c., un particolare rilievo nelle obbligazioni proprio perché serve per stabilire quando l’inadempimento non risulta imputabile al debitore per mancanza di colpa. In pratica la forza maggiore si pone come un quid tale da interrompere il nesso eziologico tra la condotta e l’evento, con conseguente assoluzione da responsabilità per il soggetto rispetto al quale non è possibile muovere alcun addebito nella causazione del fatto che si è poi tradotto nel mancato adempimento dell’obbligazione. E la stessa interruzione causale vale per il factum principis.

Nella contrattualistica, cioè dal punto di vista negoziale, è già ben noto secondo l’art. 1256 c.c. che l’obbligazione si estingue quando, per causa non imputabile al debitore, la prestazione diviene impossibile.

Quindi siamo già in grado di stabilire che nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive l’impossibilità sopravvenuta consta di due elementi che sono i presupposti di base:

– Oggettivo: impossibilità di eseguire la prestazione medesima e individuata.

– Soggettivo: assenza di colpa alcuna da parte del debitore nella determinazione dell’evento che ha reso impossibile la prestazione.

Però occorre tenere anche presente, per completezza, che, sempre in virtù dell’art. 1256 c.c. esiste un ulteriore distinguo che riguarda:

1) la sopravvenuta impossibilità definitiva che estingue l’obbligazione (se il debitore non era già in mora)

2) la sopravvenuta impossibilità temporanea che sospende l’obbligo di eseguire la prestazione esonerando il debitore per il ritardo.

A questo punto bisogna rilevare che proprio quella duplice componente del distinguo oggettivo e soggettivo può creare un distinguo tra la forza maggiore o la fattispecie del factum principis, perché potrebbero non produrre i medesimi risvolti e conseguenze nei rapporti obbligazionari e contrattuali.

Solo se l’impedimento è assoluto la sorte dei contratti e delle obbligazioni ricadrà nell’ambito dell’art. 1463 c.c. (tenendo ben presenti le variabili nel caso dei contratti plurilaterali ex. art. 1466 c.c. e nel caso di impossibilità parziale della prestazione ex art. 1464 c.c. per quanto concerne la riduzione materiale della prestazione e della relativa controprestazione).

Come osservato fra le cause invocabili al fine dell’impossibilità della prestazione secondo l’art. 1256 c.c. devono essere ricomprendersi gli ordini o divieti dell’autorità legislativa, amministrativa o giudiziaria denominati appunto factum principis, e che identificano le circostanze che operano quali esimenti della responsabilità del debitore indipendentemente dalle previsioni contrattuali vigenti.

Il factum principis sarà quindi liberatorio nel momento in cui il debitore avrà tentato di svolgere tutte le sue possibili opzioni per assolvere la prestazione, ma quest’ultima è risultata impossibile non solo nella forma standard cui era ipotizzabile doversi assolvere, ma pure nelle mutate condizioni che l’intervento dell’autorità ha realizzato.

L’onere sarebbe della Banca.

Un caso piuttosto comune di applicazione del factum principis lo rinveniamo nei contratti internazionali del commercio, tenuto conto della definizione di forza maggiore così come individuata dalla Camera del Commercio internazionale nel 2003 secondo il modello tipico e standard di ICC Force Majeure Clause 2003 e altresì dei Principi Unidroit e della Convenzione di Vienna laddove occorre comunicare alla controparte nel minor tempo possibile la specifica volontà di avvalersi della clausola in questione e individuare espressamente il factum principis che dev’essere dedotto richiamando l’estraneità, la non prevedibilità e l’insormontabilità nel caso specifico

Le risposte che pervengono dalle Banche non sembrano in linea.

Nell’ambito invece dei rapporti che generano un’obbligazione bisogna anzitutto precisare che è “rapporto” nel diritto quel modello dell’obbligazione civile tale per cui abbiamo una situazione attiva e una passiva.

Il factum principis così delineato potrebbe trovare applicazione nel momento in cui il provvedimento del Governo dell’emittente delle Obbligazioni imponga di non provvedere ad assolvere ai contenuti in termini di pagamento delle cedole e nemmeno di restituzione del capitale. In questo caso il factum principis sarebbe effettivamente opponibile rientrando nella più vasta alea della forza maggiore ma non è questo il caso perché di fatto l’emittente sta ottemperando ed il consumatore / risparmiatore non percepisce altro se non una nota di accredito che testimonia come gli importi ci sono ma non è possibile incassarli per via del fatto che è venuta meno la conversione degli stessi.

Tutto ciò lascerebbe supporre che possa trattarsi molto di più un caso dimaterial adverse effect / change”.

Nell’ambito della contrattualistica internazionale per material adverse change usualmente si intende: any matter, event, or circumstance that has (or witch would reasonably be expected to have) a material adverse effect on the business, assets or profits of the Company (or Company’s group)”.

Nei material adverse change rientrano the following matters, events or circumstances” fra le quali il rimando “all‘act of God including earthquakes, hurricanes, floods, other adverse weather conditions or other natural catastrophes”.

Mentre dal punto di vista finanziario s’intende riferirsi nella sua portata più ampia e comprensiva a global economy o global capital markets, banking markets or financial markets in each case generally including changes in financial or markets conditions, prevailing interest rates, currency exchange rates and commodity or raw material price”

E’ bene precisare che usualmente si parla di material adverse change or event in rapporto ad una specifica clausola nei contratti che “scatta” o meglio si attiva al verificarsi del c.d. triggering event cioè il momento in cui si attiva e ciò in ragione del fatto che “the MAC clause is a concstruction by fact and language-specific making litigation outcomes difficult to predict”.

E l’attivazione normalmente è riferita al fatto che the change must be of sufficient magnitude” come pure chethe effect must be durationally significant”

A ben guardare sembrerebbe proprio quello che si è verificato.

Orbene l’accorto banchiere avrebbe dovuto provvedere all’inclusione di una clausola del genere proprio avuto riguardo al rapporto tra Intermediario e subdepositario nella circostanza in cui si fossero determinate delle condizioni con l’Emittente che avrebbero potuto ingenerare le situazioni di cui al subdepositario. Sono note le carenze della contrattualistica in questo settore essendo serializzata e difficilmente aperta a delle modifiche.

Tuttavia l’idea che in mancanza di una specifica pattuizione a farne le spese sia il cliente / risparmiatore in realtà rivela solo una lacuna nell’ambito del principio di consapevolezza ben noto agli intermediari finanziari.

Viceversa mi pare una posizione di comodo quella: “siccome io non mi cautelo, tu paghi per via del fatto che mi posso trincerare dietro un concetto come il factum principis”.

Si potrebbe affermare che non è una posizione che salvaguardia la stabilità e l’efficienza del mercato. Anzi introduce una prassi tutt’altro che evolutiva laddove non impone alcun accorgimento all’intermediario scaricando interamente il rischio sul Cliente.

Una condotta potenzialmente contraria agli orientamenti e alle stesse linee guida di ESMA. 

Se è vero come è vero che c’è un principio noto di autodeterminazione sulla paternità delle operazioni di investimento da parte del Cliente che informato decide di dar seguito al proprio ordine di acquisto la completa assenza di una clausola di salvaguardia che lo metta nelle condizioni di riflettere in maniera scientificamente orientata all”ipotesi in cui potrebbe non avere diritto al materiale pagamento della somma quale conseguenza di un evento di forza maggiore che ne impedisca il trasferimento è una mancanza nella contrattualistica.

In una siffatta prospettazione è molto più probabile che il Cliente chieda garanzie in proposito al verificarsi di uno scenario come quello attuale e, nel momento in cui gli venga rappresentato come funziona la clausola in questione, egli dovrebbe quindi valutare se dare lo stesso seguito all’intenzione di acquisto oppure scegliere un alternativa.

L’assenza di una clausola di salvaguardia a mio avviso non dovrebbe essere supplita con un generico factum principis e mi porta altresì a pensare che la mancata adozione di qualsivoglia metro valutativo a scopo informativo da parte della banca finanche il tutelare la propria posizione con la specifica previsione di una clausola che la renda esente da responsabilità è una non applicazione del principio di professionalità. Tale per cui la Banca possedeva tutti gli strumenti utili a determinare in anticipo l’eventuale prodursi di uno scenario in cui il pagamento delle cedole se non addirittura la restituzione del capitale avrebbe potuto subire un alterazione temporanea o definitiva a pregiudizio del cliente per eventi di forza maggiore che possano mutare lo scenario iniziale in ragione dei rapporti tra le Istituzioni e i Governi nelle nazioni interessate fra cui quelle dell’Emittente.

La qual cosa negli ultimi 20 anni si è verificata di frequente con riguardo a non pochi prodotti finanziari dematerializzati in special modo in valuta estera.

Ancor più poi in ragione del fatto che l’utilizzo del subdepositario sia stato autorizzato dal Cliente il che significa che nella contrattualistica firmata lo stesso ha ricevuto debite informazioni sulla struttura organizzata dell’attività di collocamento del prodotto finanziario ma non ha per converso ricevuto informazioni altrettanto dettagliate da metterlo nelle condizioni di capire come questa struttura che è parte integrante del meccanismo che porta al pagamento dei frutti del prodotto finanziario potrebbe subire delle alterazioni in pregiudizio del Cliente.

Queste informazioni avrebbero dovuto provenire dall’unica parte che è in grado di offrirle.

Tutto ciò non è avvenuto in ben tre fasi:

1) contrattualistica per assenza di clausole ad hoc;

2) consulenza finanziaria;

3) attività di deposito e amministrazione titoli durante la quale sappiamo è obbligatorio comunicare determinate informazioni utili al Cliente anche se non c’è un contratto di consulenza personalizzata;

Occorre valutare molto attentamente l’ipotesi di un concorso di responsabilità da parte della Banca in una siffatta situazione; molti investitori infatti si sono mobilitati apprendendo la notizia unicamente da Borsa Italiana per via delle quotazioni se non addirittura complice il fatto di non vedersi accreditare alcunché.

Bisognerebbe infatti valutare la natura di queste obbligazioni non solo fossilizzandosi sull’evento della mancata conversione ma guardando anche a plurimi aspetti che potrebbero insieme con i profili solo enucleati (a grandi linee) rivelare undeficit informativo ascrivibile all’Intermediario” Giacché in una situazione come quella attuale, il prodursi della quale non è avvenuto in tempi relativamente brevissimi quantunque categorici la sola messa a disposizione o la consegna ad esempio del “Documento sulla natura e sui rischi degli strumenti finanziari non è di per sé idoneo, in assenza di specifiche clausole, a salvaguardare la piena consapevolezza del Cliente.

Sembra invece una di quelle circostanze in cui l’Intermediario sarebbe stato tenuto a fornire un’informativa ulteriore ed aggiuntiva rispetto a quella sui rischi e le caratteristiche delle varie tipologie di strumenti finanziari usualmente prevista dal Regolamento Intermediari vigente. Anche alla luce del fatto che usualmente il medesimo richiede di fornire le informazioni sulle caratteristiche del tipo specifico di strumento interessato, nonché i rischi propri di tale tipo di strumento in modo sufficientemente dettagliato, al dichiarato fine di consentire al cliente di adottare decisioni di investimento informate.

Questo presupposto informativo in realtà vale anche per il disinvestimento, cioè per consentire al Cliente di apprendere relativamente ad alcune criticità che potrebbero sconsigliare il mantenimento di un prodotto finanziario ad esempio quale conseguenza di un downgrade del rating particolarmente preoccupante. Da tempo i principi introdotti dall’ESMA prevedono come l’intermediario a nulla valendo il rapporto di sola custodia e amministrazione titoli debba rimanere informato per il tramite del proprio personale; esiste ciò un obbligo di formazione costante tale per cui non è concepibile che a domanda del Cliente, la Banca si attiva e finalmente scopre che..

Giova anche anche interrogarsi se nel caso in questione non debbano trovare applicazione le più recenti definizioni di post-trade transparency regime, laddove pur non essendo questa la sede per approfondire queste ipotesi ma l’attento studio della documentazione più recente introdotta da ESMA sembra rafforzare il concetto di “different ransparency requirements based on the venue where it is executed”. Che verrebbe in essere una volta effettuate una serie di preanalisi le quali potrebbero rivelare una diversa natura dell’execution inerente a questo genere di acquisti. In ogni caso, a fronte di ciò pare riduttivo sposare l’idea di un attendismo così estemporaneo e sine die.

A prescindere dalle valutazioni sulla effettivo configurarsi del factum principis o più probabilmente di un material adverse event / change contro cui sarebbe stato possibile cautelarsi meglio resta il fatto che il risparmiatore in molti di questi casi non è stato minimamente seguito, avvertito, ragguagliato.

Una solitudine che aggiunta al danno solleva degli interrogativi sui quali credo che le difese chiamate a tutelare questi diritti dovranno impegnarsi attentamente.

Nota bene: si precisa che il presente articolo é volutamente sintetico, non contiene indicazioni operative e non rappresenta un documento sulla base del quale intraprendere iniziative di autotutela laddove il contenuto non si sostituisce alla qualificata consulenza legale che si ritiene dovrebbe essere richiesta solo ad un qualificato Professionista e in ogni caso non sussistono casi identici relativamente a posizioni sugli investimenti per le quali invece é sempre necessario personalizzare l’attività di studio ed approfondimento con il Cliente.

Avv. Marco Solferini – www.studiolegalesolferini.com

Pubblicato da:

Marco Solferini

L'avvocato Marco Solferini è esperto in diritto civile, commerciale, bancario, del risparmio e degli investimenti. Ha maturato una significativa esperienza nella tutela dei consumatori, contrattualistica societaria e nel diritto di Famiglia. Si occupa attivamente di diritto delle nuove tecnologie nel Metaverso e Ai in particolare per start-up e PMI. E' titolare dello Studio legale Solferini e svolge la sua attività in Bologna, Roma e Milano: www.studiolegalesolferini.com - info@studiolegalesolferini.com Ha ricoperto e ricopre alcune cariche in enti, società, associazioni. La storia professionale e il curriculum sono disponibili dal profilo Linkedin.

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