Investire in Bitcoin (e criptovalute) tramite ETF Spot.

Tempo di lettura stimato: 16 minuti

Scopo del presente articolo è quello di stimolare delle riflessioni su trasparenza e contenuti di una delle più recenti nuove frontiere degli investimenti.

Indice:

  1. Che cosa sono gli ETF: una breve introduzione e come siamo arrivati a quelli sui Bitcoin e le criptovalute.

  2. Consapevolezza e trasparenza delle informazioni: attenzione al concetto di opacità informativa.

  3. Brevi note sulla product governance in Europa.

  4. E’ possibile investire in un ETF di criptovalute, beneficare dei rialzi ma annullare anche il rischio di eventuali perdite dovute a ribassi improvvisi e inaspettati? Riflessioni sull’applicazione della clausola “severe overnight gap events”.

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1) Che cosa sono gli ETF: una breve introduzione e come siamo arrivati a quelli sui Bitcoin e le criptovalute.

Prima di poter affrontare, seppur sinteticamente il potenziale problema della trasparenza informativa per quanto riguarda l’acquisto di ETF sui Bitcoin occorre fare il punto della situazione.

Che cosa sono gli ETF?

E’ un acronimo che indica Exchange Traded Funds e sono in buona sostanza Fondi o SICAV negoziati in Borsa esattamente come le normali azioni ma con la caratteristica specifica e individuante di avere come obiettivo principale (se non l’unico) quello di replicare fedelmente l’andamento di un indice e quindi, come intuibile, il suo rendimento che può essere azionario, obbligazionario o di materie prime.

Ci troviamo pertanto di fronte, nella più gran parte dei casi ad una “replica” di un paniere di strumenti finanziari che punta a valorizzare l’andamento complessivo di un certo settore. Esistono ETF che replicano indici di Borsa come pure singoli settori quali ad esempio le energie rinnovabili o la robotica.

Si parla di strumenti a gestione passiva perchè il Gestore punta a replicare una performance di un mercato piuttosto che a batterla (anche se esistono degli ETF che sono a gestione attiva e nei quali si cerca di sovraperformare il benchmank di riferimento e la stessa performance attesa).

Quindi è corretto affermare, come peraltro si può trovare in numerose definizioni, che gli ETF sono strumenti passivi il cui obiettivo di investimento è esclusivamente quello di replicare la performance dell’indice benchmark a cui fanno riferimento consentendo in modo immediato agli investitori di esporsi sul mercato di interesse o se non è tanto il portafoglio di titoli ad interessare, di posizionarsi sulla strategia obiettivo di crescita di un certo settore anche in rapporto al tipo di operazioni che vengono svolte sia dal punto di vista finanziario che societario (ad. esempio si pensi al settore della Intelligenza Artificiale che è considerato ad alto tasso di crescita e sul quale vengono anche compiute – avuto riguardo alle società – operazioni quali short, leverage, squeeze-out o anche tramite strutturati).

In via generale gli ETF soggiacciono ad alcuni requisiti che possono essere sintetizzati in:

1) trasparenza, in quanto prodotti finanziari regolamentati dovrebbero offrire un buon livello di sicurezza replicando un indice noto di un mercato, con ciò consentendo agli investitori di essere consapevoli del profilo rischio / rendimento del proprio investimento e del portafoglio titoli in cui assumono un esposizione;

2) flessibilità, non hanno una scadenza e sono quotati in Borsa in tempo reale dove peraltro gli investitori possono acquistare le azioni degli ETF tramite broker tradizionali o investitori istituzionali abilitati;

3) economicità, la gestione passiva consente usualmente di contenere i costi di gestione e distribuzione favorendo pertanto la possibilità per gli investitori di accedere a investimenti che altrimenti potrebbero avere costi di gestione maggiori, minimizzando peraltro alcuni aspetti legati alla loro fiscalità pur considerando inoltre che alcuni ETF su Bitcoin investiranno in molteplici criptoasset e in società correlate al settore delle criptovalute con ciò finendo per incrementare il livello di diversificazione rispetto all’investimento (iniziale) diretto in soli Bitcoin.

Alla luce di tutto ciò pare opportuno fissare un primo aspetto che è giuridicamente rilevante per le considerazioni che andremo a svolgere: gli ETF non sono fondi d’investimento perchè si distinguono principalmente in virtù del fatto che sono negoziati in Borsa come se fossero normali azioni, sono caratterizzati da una gestione passiva con costi bassi (o più bassi) e replicano un indice di riferimento.

Quindi gli ETF si possono comperare e vendere durante la giornata, anche più volte in un ottica di trading, come se fossero normali azioni a un prezzo che sarà quello pari al valore dell’indice in un determinato momento.

Ebbene sono oggi presenti anche i primissimi ETF Spot su Bitcoin infatti è del 10 gennaio 2024 l’autorizzazione made in USA della SEC (Security Exchange Commission) che ha dato il via libera alle prime domande per la quotazione di ETF a gestione passiva garantiti da collaterale sul prezzo spot di mercato dei Bitcoin.

Occorre precisare che tale nulla osta perviene dopo molti e molti anni in cui la SEC aveva negato questa possibilità mossa da motivazioni di protezione del mercato da ipotetiche manipolazioni (e truffe) che ad avviso della Commissione erano rischiosamente associabili a questo genere di attività, più tipica della commercializzazione dei prodotti finanziari.

Tuttavia di recente si è avuto pronunciamento favorevole in una causa proprio contro la SEC che ha portato al ribaltamento del rifiuto inizialmente opposto della Commissione di convertire il Grayscale Bitcoin Trust in un ETF Bitcoin Spot. Conseguentemente la stessa SEC è stata costretta a rivedere la sua posizione. Il che ci porta però a doverlo sottolineare in quanto il percorso autorizzativo non è stato in sè esclusivamente basato sull’evoluzione del percorso burocratico e di studio / analisi bensì influenzato, se non addirittura indirizzato, proprio dalla necessità di ottemperare a un ordine d’imperio derivante da una Sentenza. E malgrado ciò l’approvazione degli ETF sui Bitcoin in seno alla Commissione della Sec non è stata unanime bensì 3 voti pro e 2 contro. Occorre tuttavia tenere presente che la posizione nei confronti dei Bitcoin e delle criptovalute da parte della SEC non è stata nel corso degli anni solo preclusiva o ostracista, bensì molto prudenziale, con alcune considerazioni che da tempo fanno discutere i teorici delle commodity e degli strumenti finanziari tokenizzati (c.d. security tokens) laddove come noto il dibattito ruota attorno all’esatta qualificazione della monete virtuali.

E’ importante comprendere il valore di questo percorso, pur se sintetizzato, perchè non cancella i dubbi che da sempre si accompagnano ai rischi legati alle criptovalute.

Soffermiamoci quindi sul concetto di “spot”: esistono due tipi principali di ETF, quelli spot che detengono asset reali e quindi il loro prezzo è il riflesso matematico di ciò che hanno al loro interno e poi ci sono quelli c.d. futures che invece investono sulla previsione di quello che sarà il valore di asset che non posseggono, puntando quindi sull’attesa del prezzo futuro.

La caratteristica “spot” sta a significare che l’ETF detiene i Bitcoin fisici e conseguentemente il valore delle azioni dell’ETF fluttuerà in sincronia con le variazioni del prezzo dei Bitcoin in quella che possiamo definire come un esposizione mediata dall’acquisto delle quote di uno strumento finanziario in luogo della detenzione diretta dell’asset, cioè della criptovaluta interessata. E’ corretto quindi affermare che questa “caratteristica” offre all’investitore la possibilità di effettuare un investimento che riflette in modo fedele la performance dei Bitcoin senza la necessità di comperare Bitcoin.

In questa sede non affronteremo la struttura di gestione degli ETF che vede coinvolti spesso gestori autorizzati come banche o società di trading, trust per il deposito delle criptovalute e market makers per il realizzo delle opzioni di compravendita.

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2) Consapevolezza e trasparenza delle informazioni: attenzione al concetto di opacità informativa.

A che cosa dovrebbe prestare attenzione l’investitore che volesse acquistare questi ETF su criptovalute?

Il concetto che sembra essere più interessante per la difesa dei risparmiatori, in Italia, potrebbe essere quello che passa sotto la terminologia di opacità informative.

Usualmente questo termine ha incominciato a comparire in rapporto al più noto principio di consapevolezza dell’investimento e alla reale conoscenza delle caratteristiche dello stesso apprezzabili e apprendibili secondo i crismi rispettivamente del T.U.F. (Testo Unico Bancario), del Regolamento Intermediari, Orientamenti di ESMA (European Securities and Markets Authority) e Comunicazioni Consob.

E’ ragionevole affermare che sono potenzialmente opache le informazioni che inducono un investitore a realizzare un investimento (o disinvestimento) che altrimenti non avrebbe effettuato se a conoscenza di elementi essenziali per la formazione del prezzo.

Il principio è estrapolabile dalla seguente massima che in Italia ha spesso riguardato operazioni di disinvestimento: “la non corretta indicazione del prezzo di carico dei titoli assume rilievo in relazione all’informativa sui costi e sugli oneri connessi che l’Intermediario è tenuto a fornire all’investitore, nonchè sulla sua scelta di disinvestimento”

In linea di massima la prova di questa discrasia tra l’atteso (supposto) e il ricavato si estrapola dalla differenza tra il prezzo medio di acquisto e il costo medio ponderato che in special modo sulle azioni individua il distinguo fra un valore atteso e un valore reale che sconta anche ad esempio l’applicazione della disciplina fiscale.

Il che ci porta a supporre che negli ETF Spot sulle criptovalute le imposte sulle operazioni, ad esempio, rappresentano una componente dei costi e degli oneri accessori che gli intermediari sono tenuti a comunicare ai Clienti e il mancato riferimento, ancor più nell’immediatezza dell’eseguito, a possibili tassazioni costituirebbe una violazione dell’obbligo informativo.

Si creerebbe infatti una insanabile aspettativa di lucro alimentata dall’idea che il sottostante, cioè ad esempio i Bitcoin stiano rendendo in maniera parallela all’eventuale riscossione delle azioni dell’ETF senza alcuna imposizione del fisco.

Si renderebbe quindi necessario che qualunque Gestore offra servizi di compravendita a qualunque titolo di ETF Spot su Bitcoin o altre criptovalute si premuri di:

1) mettere chiaramente a disposizione le corrette informazioni nell’area del sito;

2) nei rendiconti periodici sia presente il prezzo di carico utilizzato ai fini fiscali;

3) siano presenti allert che impongano la presa visione del documento riepilogativo dei costi;

4) sia presente nel questionario di profilatura depositato e acquisito una specifica serie di quesiti proprio per questo genere di operatività e che sia in linea anche con l’attuale orientamento a tema di inadeguatezza degli oneri informativi e acquisti in proprio;

In mancanza sarebbe possibile sostenere che il contesto informativo fornito dall’Intermediario sia inadatto al grado di chiarezza richiesto per questo specifico prodotto e che il Cliente sia stato indotto dalla parzialità delle informazioni a disposizione a una conoscenza stop & go, o se vogliamo a macchia di leopardo non idonea a formare una esatta configurazione del proprio interesse all’acquisto di un prodotto come un ETF Spot su criptovalute.

Il concetto di opacità, pure se come visto evolutosi in riferimento ad un altro contesto sembra adattarsi bene e quindi spetta all’interprete del diritto giocare d’anticipo valutando adeguamenti che siano in grado di prevenire le criticità. Si tenga bene a mente che in special modo nel diritto bancario e degli investimenti o del risparmio gran parte delle controversie, tanto nello stragiudiziale quanto nel giudiziale, sorgono in virtù di situazioni strettamente attuali e come tale spetta a quello che una parte della nostra giurisprudenza ha definito “l’accorto banchiere” attribuire un anamnesi seria e completa che guardando avanti sia cautelare.

Da tempo ad avviso dello scrivente gran parte delle criticità che hanno portato a innumerevoli condanne di risarcimento contro banche e finanziarie si sarebbero potute evitare con un più (audace) e logico deduttivo approccio alla contrattualistica.

Questo vale anche per tutti i grandi fondi d’investimento che decidono di operare, nell’interesse dei sottoscrittori (es. i fondi pensione di categoria) su questi prodotti finanziari; l’acquisto dei quali non dovrebbe seguire la semplice messa a disposizione di moduli e formulari ma una raccolta specifica di autorizzazioni da parte dei mandanti e di coloro che affidano le proprie somme alla Gestione del Fondo stesso. Attenzione alla serialità o agli adeguamenti di materiale già in uso non personalizzati.

Accanto a questo primo aspetto, relativo cioè all’informazione per l’investitore, che si ricollega al noto filone del principio di consapevolezza, ne viene in mente un altro che potrebbe interessare l’esperto del diritto sul fronte della c.d. product governance.

Non a caso una parte dell’esposizione in fase di apertura è stata dedicata all’iter che ha portato dopo anni di respingimenti al nulla osta di questi ETF e che non può essere considerata di per sè un colpo di spugna sui dubbi e le riflessioni che da anni accompagnano gli studi di settore, non solo sui Bitcoin ma anche sulle criptovalute in generale.

Sorge quindi un interrogativo: è possibile investire in ETF di criptovalute garantendo che anche in caso di violente perdite il capitale venga lo stesso salvaguardato?

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3) Brevi note sulla product governance.

Prima di affrontare l’argomento sembra opportuna una breve sintesi dell’attuale impostazione del concetto di product governance in Europa partendo dalle recenti e plurime attenzioni che ha ricevuto in sede di ESMA (European Securities and Markets Authority).

Sappiamo infatti da tempo quanto sia alta l’attenzione da parte di ESMA, per quanto riguarda la catena distributiva dei prodotti finanziari. Un evidenza che ci permette di meglio capire nel dettaglio che genere di informazioni vengano effettivamente trasmesse / scambiate prima di tutto tra gli operatori. Ed è dimostrato dal fatto che al 1° febbraio 2021 proprio l’Autorità ha predisposto un’azione di vigilanza comune (CSA) con le autorità nazionali competenti (NCA) sull’applicazione delle regole di governance dei prodotti MiFID II nell’Unione europea.

Si legge, fra le intenzioni di quest’azione:

1) how manufacturers and distributors identify and periodically review the target market and distribution strategy of financial products;

2) what information is exchanged between manufacturers and distributors and how frequently this is done.

Il che è in linea con le ESMA Guidelines 2017 dove fra l’altro leggiamo a proposito di quella che è la product governance: “The objective of the product governance requirements is to ensure that firms, which manufacture and distribute financial instruments and structured deposits (from here on referred to as ‘investment products’), act in the clients’ best interests during all the stages of the life-cycle of products or services”.

Fermo restando che: “the requirements on product governance apply without prejudice to any assessment of appropriateness or suitability to be subsequently carried out by the firm in the provision of investment services to each client, on the basis of their personal needs, characteristics and objectives”.

Questo ci porta a considerare che la product governance nell’ottica di ESMA (pure tenuto conto del Consultation Paper del 2016) prescinde in realtà dall’attività che viene poi svolta dall’Intermediario di valutazione circa l’adeguatezza e ricopre un ruolo che potremmo quasi definire genetico perchè guarda alla creazione e alla distribuzione del prodotto finanziario affinchè esso arrivi a essere comprensibile e trasparente nelle sue componenti essenziali. Si potrebbe quasi parlare di una sorta di conformità antecedente alla valutazione di opportunità (come accade già in alcuni Paesi Europei).

Giova riflettere sul fatto che l’attuale impostazione cautelare in ambito europeo, figlia della contemporaneità, pare più solida rispetto a quella teorica d’oltreoceano che ha legittimato un atteggiamento diffidente verso l’introduzione degli ETF Spot Bitcoin pertanto pur dovendo considerare “da studiosi” le perplessità Made in USA non è detto che le medesime siano condivisibili nel sistema europeo che dal punto di vista dell’architettura legislativa (ben inteso, la sua applicazione poi negli stati membri è cosa diversa e distinta) è pragmatico e responsabile.

Il concetto di product governance che si evince dall’attenta lettura di MIFID II (e delle direttive delegate) è che i nuovi requisiti mirano a evitare e a ridurre sin dall’inizio, gli eventuali rischi potenziali che comporta il mancato, rispetto delle regole di tutela degli investitori. Fra l’altro e non a caso, secondo il nuovo quadro giuridico, le imprese che fabbricano prodotti finanziari devono specificare, come parte del processo di approvazione del prodotto, un mercato di riferimento di clienti finali per le cui esigenze, caratteristiche e obiettivi il prodotto è inteso. E non solo ma occorre precisare anche una strategia di distribuzione coerente con il mercato di riferimento così individuato.

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4) E’ possibile investire in un ETF di criptovalute, beneficare dei rialzi ma annullare anche il rischio di eventuali perdite dovute a ribassi improvvisi e inaspettati? Riflessioni sull’applicazione della clausola ETF “severe overnight gap events”.

L’esperienza suggerisce che, facendo propri i timori legati al noto andamento, a tratti tumultuoso delle criptovalute, negli ETF in questione potrebbero essere incluse alcune clausole di garanzia e protezione che già sono utilizzate in altri ETF e che introdurrebbero nel contratto elementi come “swap” e “derivati”.

Sarebbe quindi possibile introdurre negli ETF Spot sui Bitcoin e/o altre criptovalute clausole come quella “severe overnight gap event” allo scopo di evitare che movimenti violenti del mercato delle cripto possano portare a crolli o default, proteggendo quindi in ogni caso il capitale investito negli asset di riferimento e realizzando di conseguenza la possibilità di poter investire in criptoasset annullando il rischio (che ad oggi è stato il principale timore di tutti gli investitori in critpovalute) di perdere gran parte del capitale.

Nella maggioranza dei casi per trovare questa clausola occorre leggere l’informativa e di solito la stessa ha come scopo quello di attivare una risoluzione anticipata tale per cui il fornitore dello swap può recedere unilateralmente dal contratto a mezzo di un avviso di risoluzione. La finalità sarebbe quella di salvaguardare gli investitori in presenza di movimenti estremi del mercato di riferimento onde terminare lo swap prima che il prodotto raggiunga un valore non più nell’interesse degli investitori.

Vengono quindi in essere non pochi istituti giuridici di cui recentemente si è molto dibattuto e su diversi dei quali sussistono orientamenti differenti tra loro, non necessariamente confliggenti ma piuttosto sembra, parametrati in ragione del derivato interessato.

Brevemente quindi, s’intende per:

1) prodotto finanziario derivato: sono contratti il cui valore dipende dall’andamento di un’attività sottostante nota anche come “underlying asset”. Le attività sottostanti possono avere natura finanziaria (come ad esempio i titoli azionari, i tassi di interesse e di cambio, gli indici) o reale (come ad esempio il caffè, il cacao, l’oro, il petrolio, ecc) (Fonte: Borsa Italiana).

2) swap: sono contratti che rientrano nella categoria dei derivati ovvero contratti che si basano (o si costruiscono) su altri strumenti. In prima approssimazione, per comprendere cos’è uno swap basta tradurre dall’inglese il verbo “to swap”, in italiano: “scambiare qualcosa con qualcos’altro”. Lo swap è infatti un contratto con il quale le due controparti A e B decidono di scambiarsi somme di denaro (più comunemente la differenza tra queste ultime) in base alle specifiche del contratto stesso, specifiche che determinano la classificazione per tipologie dei contratti swap (Fonte: Borsa Italiana).

Premesso ciò, guardando ai prospetti dei fondi ETF oggi già in circolazione, la clausola “severe overnight gap event” rientra nell’ambito delle clausole “severe disrupt event” che a loro volta fanno parte dei “compulsory redemption event”.

L’interprete del diritto si trova quindi di fronte ad una serie di “definitions” nell’ambito del documento prospetto di un derivato ETF con clausola di swap che identifica una serie di circostanze di mercato, relative all’andamento quasi sempre del sottostante cui il derivato è “agganciato” che esorbitano la normale alea di rischio.

Non si tratta di eventi che rientrino nell’ambito della c.d. impossibilità sopravvenuta come nel caso delle clausole “material adverse change/event”, bensì di eventi fuori dal normale. In alcuni testi di “common law” si citano situazioni non pronosticate che riguardano stress del mercato (o dell’indice) di riferimento.

Sono tutti elementi che se traslati sul mercato delle criptovalute assumono un significato particolare. La clausola in questione, pur essendo di salvaguardia è nata prima di questi nuovi ETF ma i suoi contenuti potrebbero essere particolarmente attivabili in un mercato composto da indici di riferimento che coincidano con l’andamento delle criptovalute usualmente di non facile predizione e soggetto a movimenti di mercato anche molto repentini e pericolosi.

La domanda che può sorgere è anzitutto come realizzare l’inserimento di questa clausola laddove debba essere debitamente spiegata in modo tale che l’investitore la comprenda bene. E successivamente se l’attivazione delle clausola segue l’iter che nel diritto italiano consente di ricomprenderla nell’alveo della risoluzione anticipata.

Prima di tutto occorre precisare che questo genere di clausole si basano spesso sull’attivazione di un algoritmo “If– Then”. In pratica: “se succede questo, si attiva questo” oppure se vogliamo: “azione – reazione”. Sono clausole di salvaguardia in modalità “escape” o “exit”. In pratica si ha la certezza della loro attivazione al verificarsi di una determinata condizione. Tuttavia differiscono rispetto alle clausole “floor” o “cap”.

In diritto Italiano la situazione non è di agevole comprensione perchè tale formulazione si avvicina alla clausola risolutiva espressa che tuttavia in alcuni casi può ricadere nell’ambito della vessatorietà perchè si presta ad un’interpretazione arbitraria e quindi meramente potestativa che potrebbe non ricorrerebbe nel caso di un ETF laddove a ben guardare i canoni ermeneutici siano fissati nel prospetto.

Nel contempo la clausola risolutiva espressa in diritto Italiano prevede non l’applicazione istantanea cioè automatica al verificarsi di alcuni eventi bensì la sua attivazione (possibilità di). Da un punto di vista tecnico invece le clausole “severe overnight gap event” quando vengono comunicate sono già state applicate. In quella che non sembra essere esattamente una risoluzione di diritto.

Ciò posto uno dei problemi più significativi è prendere in considerazione se una siffatta applicazione di una clausola, che risolve lo swap, comporta o meno una nullità del contratto e nel caso come andrebbe formulata per evitarlo.

Si possono svolgere anche alcune considerazioni, peraltro già note, sui contratti derivati.

Allo stato attuale dopo numerosi e a tratti altalenanti orientamenti, tenuto conto delle principali tematiche che ad oggi sono state oggetto di riflessione sui derivati, prevale l’orientamento tale per cui ferma la loro natura aleatoria (cioè insita nella struttura dello strumento) si afferma comunemente che la causa dei contratti derivati è lo scambio, a scadenze prefissate, dei valori del sottostante determinato sulla base del valore convenzionale del sottostante a certa data e del diverso valore che quello stesso sottostante assume sul mercato alla data di esecuzione. In pratica è prevalso un orientamento tecnico che guarda allo scambio del differenziale dei valori.

Sicuramente tale impostazione è confacente nel caso dei prodotti IRS e IRC

In precedenza un diverso orientamento guardava invece alla componente investimento valorizzando il ruolo dell’alea per poi stabilire che l’alea razionale è elemento causale tipico dei contratti derivati. Tutti gli elementi dell’alea e gli scenari probabilistici che da essa derivano costituiscono e integrano la causa tipica dei contratti derivati pertanto in assenza di tali elementi il contratto deve ritenersi nullo per difetto di causa.

In particolare questa definizione era stata pensata per alcuni derivati over the counter (OTC).

Orbene, la seconda teoria, pur non essendo più maggioritaria in una significativa parte della giurisprudenza, sembra meglio in grado di interagire con questo genere di derivati ETF dov’è presente la clausola che annulla lo swap.

In un ETF con clausola di swap è essenziale la specificazione (non a caso nel modello KID) del differenziale futuro dei flussi di cassa attesi e dei modelli di pricing adottati per prezzare il derivato. Nel momento in cui dovessero diventare indeterminabili a causa di una determinazione unilaterale del loro contenuto si porrebbe il problema della immeritevolezza di tutela.

Se partissimo dal presupposto che tutti i contratti derivati, qualora a scopo speculativo, sono caratterizzati dalla creazione di una reciproca alea di consapevolezza e raziocinio, che dev’essere definita contrattualmente e come tale parametrabile, nonchè misurabile, affinchè sia tale dev’essere comprensibile. Il Cliente deve cioè conoscere la percentuale di rischio affinchè questo sia non solo accettabile ma anche controllabile e per effetto il contratto stesso sia meritevole di tutela.

Laddove tutto questo mancasse potrebbe non realizzarsi il noto sinallagma che farebbe altresì venire meno la causa.

La tutela dell’investitore pertanto sconterebbe un asimmetria informativa che porterebbe a un difetto di causa concreta del negozio il quale può essere individuato solo allorquando il contratto non sia in alcun modo in grado di rispondere agli interessi che le parti possono perseguire stipulandolo cioè, in un contratto aleatorio come lo swap, quando l’alea sia radicalmente assente e una delle parti, in qualsiasi possibile scenario abbia un sicuro (s)vantaggio.

Uno dei motivi che potrebbe in effetti determinare questa evenienza è il caso di un rischio irrazionale determinato da una clausola la cui attivazione annullerebbe il contenuto dello swap. Trovandoci di fronte ad una situazione economica in cui le aspettative del cliente erano già frustrate a causa delle vicende di un contratto aleatorio in re ipsa e svantaggioso per l’investitore ben oltre i limiti della sua conoscibilità in termini di aleatorietà.

Le parti nell’ambito di un ETF spesso realizzano un meccanismo attraverso il quale perseguono un risultato economico unitario e complesso che viene realizzato non per il tramite di un singolo contratto bensì attraverso una coordinata pluralità di clausole ciascuna delle quali dotata di una propria autonomia che consente di realizzare gli interessi reciproci. In tutti questi casi è ben difficile, procedendo a contrario, astrarre la singola clausola dalla sintesi degli interessi che le parti intendevano definire attraverso la combinazione.

Corretto sembrerebbe affermare che affinchè sia rispettata l’alea razionale che è lecito attendersi in un derivato speculativo è necessario che gli scenari inerenti agli elementi del contratto “probabilistici” siano definiti e conosciuti ex ante sulla base di un indice o di uno strumento che consenta all’investitore di misurare o quantomeno di identificare l’alea del rischio (come ad es. il mark to market). In questo caso sarebbe una proiezione finanziaria basata sul valore teorico di una risoluzione anticipata.

Posto che le spiegazioni rinvenibili circa l’inserimento della clausola nel contratto non rendono bene la sterilizzazione della situazione che la sua attivazione comporta dal punto di vista patrimoniale ed anzi la stessa è presentata e a tratti introdotta come una risposta di giustizia calibrata sul riequilibrio di una situazione patrimoniale alterata da un evento estremo.

In realtà la clausola sembra togliere di mezzo l’elemento swap e per effetto retrocede il derivato ad uno stadio ibrido che potrebbe violare l’obbligo di informazione attiva quale certamente riguarda tutte le caratteristiche di un prodotto finanziario.

L’informazione attiva e di adeguatezza infatti costituisce il ponte endocontrattuale di passaggio tra l’assunzione del rischio da parte dell’investitore e i singoli contratti. Com’è stato osservato è una vera e propria cinghia di trasmissione consistendo nella prima linea di difesa e di protezione sostanziale che il sistema vigente impone per assicurare la consapevolezza informata dell’investitore.

Questo tipo di clausole potrebbero essere molto utile negli ETF che replicano l’indice di una criptovaluta o di una molteplicità di criptovalute. Potrebbero infatti realizzare la possibilità per gli investitori di acquistare criptovalute senza detenerle direttamente quindi attraverso l’ETF con tutti i vantaggi e le protezioni di cui gode l’ETF disinnescando il rischio di una perdita violenta del capitale quale usualmente è associata al potenziale andamento delle cripto.

Poichè pare che l’acquisto degli asset presupponga la successiva “custodia” dei Trust sarebbe forse opportuno che nell’adozione di questa clausola si coinvolgesse la contrattualistica che usualmente vincola il disponente al Trustee anche perchè il sottostante critoasset non subisce alcun effetto della salvaguardia del capitale di chi ha investito. L’esposizione del gestore dell’ETF Spot rimarrebbe la stessa.

Quindi si tratterebbe di ottenere il massimo salvaguardando il capitale. Bloccando le fluttuazioni violente.

Ma il problema principale resta il come introdurre siffatte clausole. Posto che la loro utilità pratica potrebbe essere davvero notevole e aggiungerebbe un attrattiva agli ETF che per primi le introducessero la loro presenza non deve finire per snaturalizzare il contenuto stesso dell’investimento operato in un ETF di questo tipo. Non solo ma occorre fare massima attenzione a non violare tanto nella fase genetica quanto in quella di attivazione plurimi contenuti inerenti agli obblighi informativi e alla consapevolezza, viziando le aspettative e finendo per esercitare una distorsiva quanto falsa rappresentazione delle sue funzionalità del tutto non in linea o compatibili proprio con l’indice replicabile.

In tutto questo il ruolo dell’Avvocato interprete del diritto sarebbe proprio quello di indagare, elaborare e proporre la soluzione più conforme e utile.

In chiusura si rammenta che questo articolo ha il solo scopo divulgativo, le singole fattispecie menzionate sono state trattate in estrema sintesi espositiva allo scopo di stimolare una riflessione e non rappresenta un indirizzo operativo o un documento che indichi, suggerisca o quantomeno individui ambiti di operatività.

Avv. Marco Solferini – (www.studiolegalesolferini.com)

Pubblicato da:

Marco Solferini

L'avvocato Marco Solferini è esperto in diritto civile, commerciale, bancario, del risparmio e degli investimenti. Ha maturato una significativa esperienza nella tutela dei consumatori, contrattualistica societaria e nel diritto di Famiglia. Si occupa attivamente di diritto delle nuove tecnologie nel Metaverso e Ai in particolare per start-up e PMI. E' titolare dello Studio legale Solferini e svolge la sua attività in Bologna, Roma e Milano: www.studiolegalesolferini.com - info@studiolegalesolferini.com Ha ricoperto e ricopre alcune cariche in enti, società, associazioni. La storia professionale e il curriculum sono disponibili dal profilo Linkedin.

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