LA PRESUNZIONE DI DISTRIBUZIONE DI UTILI OCCULTI AI SOCI

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LA PRESUNZIONE DI DISTRIBUZIONE DI UTILI OCCULTI AI SOCI: LA PROVA LIBERATORIA PUÒ CONSISTERE ANCHE NELLA DIMOSTRAZIONE DELL’ESTRANEITÀ DEL SOCIO ALLA GESTIONE E CONDUZIONE SOCIETARIA

di Maurizio Villani e Marta Zizzari – Studio Tributario Villani

(Cass., Sez. Tributaria, ord. n. 2464 del 02 febbraio 2025)

  1. PREMESSA
  2. IL CASO
  3. LA PRESUNZIONE DI DISTRIBUZIONE DI UTILI EXTRACONTABILI AI SOCI DI UNA SOCIETÀ A RISTRETTA BASE AZIONARIA

3.1.   IL CONTRASTO GIURISPRUDENZIALE SULL’ONERE DELLA PROVA LIBERATORIA IN CAPO AL SOCIO

  1. L’ORDINANZA N. 2464/2025: IL SOCIO PUÒ SUPERARE LA PRESUNZIONE DI DISTRIBUZIONE DEGLI UTILI EXTRABILANCIO ANCHE PROVANDO LA SUA ASSOLUTA ESTRANEITÀ ALLA GESTIONE E CONDUZIONE SOCIETARIA
  2. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

 

La Suprema Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 2464/2025, aderendo al più recente orientamento di legittimità in tema di contenuto della prova liberatoria idonea a vincere la presunzione di distribuzione di utili extracontabili ai soci, ha affermato che il socio di una società a ristretta base azionaria può vincere la suddetta presunzione offrendo la dimostrazione anche solo della propria assoluta estraneità alla gestione e conduzione societaria.

 

  1. PREMESSA

La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 2464 del 02 febbraio 2025, ha affrontato un argomento alquanto spinoso in ambito tributario, inerente la presunzione secondo cui gli utili extracontabili di una società a ristretta base azionaria sono distribuiti tra i soci proporzionalmente alle loro quote di partecipazione, salvo che il socio-contribuente dimostri che i maggiori ricavi non sono stati effettivamente realizzati dalla società o che quest’ultima li ha accantonati o reinvestiti.

L’ordinanza in commento è meritevole di attenzione perché, con specifico riferimento alla prova contraria per il superamento della suddetta presunzione di distribuzione ai soci dei maggiori utili accertati in capo a una società a ristretta base azionaria, si discosta dal tradizionale e granitico orientamento di legittimità aderendo alla tesi emersa di recente che ammette, come prova contraria, anche la dimostrazione dell’assoluta estraneità del socio alla gestione e conduzione societaria.

Come chiarito dai giudici di legittimità nell’ordinanza de qua, una volta dimostrata l’assoluta estraneità del socio alla gestione e alla vita stessa della società, la massima di comune esperienza <<che, dalla ristrettezza della base sociale, inferisce un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società e di reciproco controllo tra i soci medesimi>> perde il suo rilievo probatorio e non consente più di ritenere legittima la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili in favore di tutti i soci.

 

  1. IL CASO

La vicenda in esame trae origine da un processo verbale di constatazione notificato dalla Guardia di Finanza alla società, cui faceva seguito la notifica di quattro avvisi di accertamento con i quali veniva rideterminato il maggior reddito per le annualità dal 2014 al 2017.

I suddetti avvisi di accertamento non venivano impugnati dalla società, divenendo, così, definitivi.

L’Ufficio notificava ai due soci, titolari ciascuno del 50% delle quote sociali, due avvisi di accertamento con cui venivano ripresi a tassazione i maggiori redditi di capitale, corrispondenti, ciascuno per la propria quota, ai maggiori ricavi accertati in capo alla società e costituenti utili extrabilancio in considerazione della ristretta base azionaria.

I due soci impugnavano gli avvisi di accertamento dinanzi la competente Commissione Tributaria Provinciale (oggi denominata Corte di Giustizia Tributaria di primo grado) eccependo la violazione del divieto di doppia presunzione.

In primo grado i giudici, previa riunione dei gravami, rigettavano i ricorsi proposti dai soci, confermando la legittimità degli atti impugnati.

La suddetta sentenza, oggetto di impugnazione da parte dei soci, veniva riformata dall’allora Commissione Tributaria Regionale.

In particolare, a fondamento del decisum, i giudici di secondo grado rilevavano che:

  • la presunzione di distribuzione di utili ai soci non opera in maniera meccanica, in quanto è onere dell’Ufficio fornire la c.d. “prova rafforzata” della ristretta base sociale e dell’effettiva distribuzione degli utili. Nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria non aveva fornito una prova rafforzata a supporto della presunta distribuzione degli utili extrabilancio ai soci;
  • la presunzione de qua, basata esclusivamente sulla ristretta base azionaria della società, era superata dalle prove contrarie fornite dai contribuenti.

Ebbene, avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione sulla scorta di tre motivi:

  • violazione e/o falsa applicazione dell’art. 47 D.P.R. n. 917/1986 (c.d. TUIR): l’Ufficio ha sottolineato che, nel caso di utili extrabilancio accertati in capo ad una società a ristretta compagine sociale, non si può escludere l’applicazione meccanica della presunzione di distribuzione di tali utili occulti ai soci.

A tal fine, ha invocato l’orientamento maggioritario di legittimità secondo cui, nel caso di società a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili;

  • violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c.: l’Ufficio ha eccepito l’illegittima della sentenza di secondo grado per avere i giudici erroneamente ritenuto raggiunta la prova liberatoria sulla scorta delle allegazioni difensive del contribuente.

A tal fine, ha richiamato l’orientamento di legittimità maggioritario, secondo cui il contribuente è ammesso alla prova contraria di distribuzione di utili extrabilancio solo dimostrando che gli utili sono stati accantonati dalla società oppure reinvestiti;

  • omesso esame di fatti decisivi del giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti.

Ebbene, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto, nei soli limiti precisati nella pronuncia, i suesposti motivi di ricorso, cassando la sentenza impugnata in relazione a tali profili di censura e rinviando la causa alla Corte di Giustizia Tributaria per l’Umbria, in diversa composizione.

Prima di passare all’analisi della motivazione dell’ordinanza in commento, si rendono opportune brevi considerazioni in merito alla presunzione di distribuzione di utili occulti ai soci, con particolare riferimento al contrasto giurisprudenziale esistente in relazione al contenuto della prova liberatoria in capo al socio.

 

  1. LA PRESUNZIONE DI DISTRIBUZIONE DI UTILI EXTRACONTABILI AI SOCI DI UNA SOCIETÀ A RISTRETTA BASE AZIONARIA

Giova preliminarmente rammentare che, in linea generale, la “società a ristretta base azionaria” può essere definita come la società di capitali la cui compagine è costituita da un numero limitato di soci, legati spesso da vincoli di parentela e/o affinità.

Proprio in relazione a tale tipo societario, nel corso degli anni, si è consolidato l’orientamento della Corte di Cassazione (ex multis: Cass. n. 26473/2024; Cass. n. 4603/2024; Cass. n. 19442/2021; Cass. n. 24534/2017; Cass. n. 9519/2009; Cass. n. 6197/2007) secondo il quale è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati in capo ad una società a ristretta base sociale, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione e salva facoltà degli stessi di fornire la prova contraria.

In altri termini, se viene dimostrato che la società non ha dichiarato ricavi, il fatto che la compagine sociale sia estremamente ristretta (pochi soci, “more solito” familiari e/o affini) fa presumere che vi sia un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società e, di conseguenza, che il maggior reddito sia stato anche ripartito “pro quota” tra i soci.

In tali ipotesi, l’Amministrazione finanziaria è legittimata ad emettere distinti accertamenti, nei confronti della società e nei confronti dei soci.

È evidente, dunque, che la suddetta distribuzione ai soci degli eventuali utili in nero della società a ristretta base azionaria affonda le proprie origini non in una disposizione normativa ma in una presunzione di matrice giurisprudenziale.

Tale forma di presunzione, secondo la Corte di Cassazione, non viola il divieto di doppia presunzione (“praesumptio de praesumpto) o di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto, che sorregge la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili, non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che normalmente caratterizza la gestione sociale (cfr. Cass. n. 15995/2024; Cass. n. 29794/2021; Cass. n. 5581/2015).

In altri termini, la presunzione in commento non rappresenta una violazione del divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fondamento logico della costruzione giurisprudenziale si rinviene nella “complicità” che normalmente avvince un gruppo societario composto da poche persone, sicché è ammessa la presunzione che utili extracontabili siano stati distribuiti ai soci nel corso dello stesso esercizio annuale (cfr. Cass. n. 31932/2024; Cass. n. 5567/2023; Cass. n. 13485/2008).

Ed invero, la ristrettezza della compagine societaria implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, che fa ritenere plausibile in tutti la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza della esistenza di utili extrabilancio, alla cui distribuzione è ragionevole ritenere che tutti i soci abbiano partecipato in misura conforme al loro apporto sociale (cfr. Cass. n. 2752/2024; Cass. n. 24719/2023; Cass. n. 752/2021; Cass. n. 28542/2017).

Pertanto, la ristretta base azionaria è assunta come fatto noto per presumere, con sufficiente probabilità, che gli utili non dichiarati dalla società siano stati effettivamente distribuiti ai soci, che la distribuzione sia avvenuta nello stesso periodo d’imposta in cui li avrebbe prodotti la società e nella stessa proporzione della quota di partecipazione al capitale sociale.

Come meglio si dirà nel prosieguo, la presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio non è assoluta, ma può essere superata dal socio fornendo la prova contraria.

 

  • IL CONTRASTO GIURISPRUDENZIALE SULL’ONERE DELLA PROVA LIBERATORIA IN CAPO AL SOCIO

In tema di onere probatorio, la giurisprudenza di legittimità è granitica nel riconoscere la possibilità del socio di vincere la presunzione di distribuzione occulta degli utili fornendo un’idonea prova contraria.

Con riferimento al contenuto della prova liberatoria, secondo l’orientamento tradizionale e più risalente della Corte di Cassazione (ex multis: Cass. n. 21158/2024; Cass. n. 16913/2020; Cass. n. 33976/2019; Cass. n. 32959/2018; Cass. n. 29412/2017; Cass. n. 27778/2017; Cass. n. 24534/2017; Cass. n. 18032/2013), l’unica prova liberatoria ammessa, per dimostrare che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, è quella di provare che essi non sono stati effettivamente realizzati dalla società ovvero che quest’ultima non li ha distribuiti, ma accantonati o reinvestiti.

Nello specifico, l’orientamento in commento è ben espresso dai giudici di legittimità nell’ordinanza n. 13532 del 17 maggio 2023 (nello stesso senso si veda: Cass. n. 16913/2020; Cass. n. 15824/2016; Cass. n. 24572/2014; Cass. n. 18032/2013; Cass. n. 5076/2011; Cass. n. 18640/2008; Cass. n. 6780/2003), ove così si legge:

<<Costituisce giurisprudenza consolidata quella secondo cui la prova liberatoria, nel caso di ristretta base azionaria, è sempre stata riferita, alla prova che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti. In particolare: “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, ove siano accertati utili non contabilizzati, opera la presunzione di attribuzione “pro quota” ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti” >>.

 

Pertanto, secondo il granitico orientamento di legittimità in commento, il socio può vincere la presunzione di distribuzione di utili extracontabili solo dimostrando, eventualmente anche ricorrendo alla prova presuntiva, che i maggiori ricavi non sono stati effettivamente realizzati dalla società ovvero che quest’ultima non li ha distribuiti, ma accantonati o reinvestiti.

Si tratta, chiaramente, di una “probatio diabolica” in quanto una siffatta prova liberatoria (ossia la prova che i maggiori ricavi non sono stati effettivamente realizzati dalla società ovvero sono stati da questa accantonati o reinvestiti) risulta particolarmente complessa (rectius impossibile).

Ed invero, la prova di non aver incassato utili extrabilancio, in quanto prova di un fatto negativo, è sostanzialmente impossibile. Allo stesso modo, risulta sostanzialmente impossibile la prova positiva dell’avvenuto accantonamento o reinvestimento nella società degli utili extrabilancio, i quali, per definizione, non risultano menzionati nella contabilità societaria.

Al suddetto orientamento di legittimità, in tempi più recenti, se ne è contrapposto un secondo (ex multis: Cass. n. 26473/2024; Cass. n. 18764/2024; Cass. n. 3831/2022; Cass. n. 23247/2018) che riconosce la possibilità del socio di vincere la presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio fornendo la sola dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria.

Pertanto, secondo la tesi più recente, il contenuto della prova liberatoria può consistere nella dimostrazione:

  • o della mancata realizzazione di maggiori utili da parte della società;
  • o dell’avvenuto accantonamento o reinvestimento degli utili da parte della società;
  • o anche solo dell’estraneità del socio alla conduzione societaria.

Quanto sopra affermato, secondo questo orientamento più “aperturista” emerso di recente (cfr. Cass. n. 32002/2024; Cass. n. 15991/2024; Cass. n. 7170/2022; Cass. n. 24870/2021):

<<(…) non collide affatto con la ragione dell’operatività della presunzione in parola, che si fonda appunto sulla massima di comune esperienza che, dalla ristrettezza della base sociale, inferisce un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società e di reciproco controllo tra i soci medesimi. Una volta dimostrata, a dispetto della ristretta base sociale, l’assoluta estraneità del socio alla gestione e alla vita stessa della società, la suddetta massima di esperienza perde il suo rilievo probatorio e non consente più di ritenere legittima la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili in favore di tutti i soci.>>.

Sul piano probatorio, è possibile affermare – a mero titolo esemplificativo – che l’estraneità del socio dalla conduzione societaria può essere dimostrata attraverso:

  • la produzione dei documenti attestanti che il socio, ritenuto beneficiario in via presuntiva degli utili in nero, non svolge alcuna attività di gestione della società;
  • la produzione dei verbali assembleari che dimostrino l’esistenza di conflitti tra il socio di minoranza e quelli di maggioranza. In particolare, il socio può provare l’esistenza di dissapori economici e/o personali con i soci di maggioranza, specie se tali dissapori sfociano in iniziative penali o azioni di responsabilità nei confronti di tali soci.

Sebbene i suesposti orientamenti di legittimità offrano interpretazioni differenti in merito al contenuto della prova contraria, occorre evidenziare che vi è un elemento che li accomuna: la pervasività della prova liberatoria idonea a vincere la presunzione di distribuzione di utili occulti ai soci.

Infatti, secondo entrambi gli orientamenti di legittimità richiamati, la prova contraria deve essere precisa e rigorosa, in quanto per vincere la presunzione de qua, non è sufficiente:

  • né la mera affermazione che l’esercizio sociale si è concluso con perdite contabili;
  • né una riproduzione documentale incapace di identificare con precisione, gravità e concordanza la prova contraria;
  • né limitarsi ad affermare sic et simpliciter il disinteresse ovvero l’estraneità alla gestione societaria.

 

  1. L’ORDINANZA N. 2464/2025: IL SOCIO PUÒ SUPERARE LA PRESUNZIONE DI DISTRIBUZIONE DEGLI UTILI EXTRABILANCIO ANCHE PROVANDO LA SUA ASSOLUTA ESTRANEITÀ ALLA GESTIONE E CONDUZIONE SOCIETARIA

 

Come innanzi anticipato, la Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con l’ordinanza n. 2464/2025, è tornata nuovamente sul tema della presunzione di utili extracontabili ai soci e sul contenuto della prova contraria idonea a vincere la presunzione de qua, aderendo al più recente orientamento di legittimità secondo il quale tale prova può consistere nella sola dimostrazione dell’estraneità del socio alla gestione e conduzione societaria.

Nello specifico, con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione ha chiarito, in primo luogo, che, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base azionaria, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili.

Ed invero, secondo i giudici, tale presunzione non viola il divieto di doppia presunzione (“praesumptio de praesumpto) o di presunzione di secondo grado:

<<(…) in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza dei maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale>>.

 

Resta salva la facoltà del socio di fornire la prova contraria.

Sul punto, i giudici di legittimità hanno così ribadito:

<< In particolare, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova contraria del fatto che i maggiori redditi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti (tra le tante: Cass., Sez. 6-5, 27 settembre 2016, n. 19013; Cass., Sez. 5, 4 settembre 2020, n. 18383; Cass., Sez. 5, 11 settembre 2020, n. 18854; Cass., Sez. 5, 3 giugno 2021, n. 15393; Sez. 5, Ordinanza n. 22578 del 2023), giacché la ristrettezza della compagine societaria implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, che fa ritenere plausibile in tutti la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza della esistenza di utili extra-bilancio, alla cui distribuzione è ragionevole ritenere che tutti i soci abbiano partecipato in misura conforme al loro apporto sociale, fatta salva l’anzidetta possibilità riconosciuta al contribuente di fornire la prova contraria (Cass., Sez. 5, 29 dicembre 2017, n. 28542; Cass., Sez. 5, 19 gennaio 2021, n. 752; Sez. 5, Ordinanza n. 24719 del 2023).” (cfr. Cass., V, n. 2752/2024).>>.

Con riferimento al contenuto della prova liberatoria, poi, la Corte di Cassazione ha evidenziato che il socio può superare la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili dimostrando anche solo la propria estraneità dalla gestione e conduzione societaria.

Nello specifico, la Suprema Corte, riconosciuta la legittimità della presunzione di distribuzione degli utili occulti ai soci, si è soffermata sul contenuto della prova contraria idonea a vincere la presunzione de qua, dando atto della presenza di due orientamenti in seno alla giurisprudenza di legittimità:

<< In un primo tempo, questa Corte ha individuato il contenuto della prova contraria a carico dei soci nella (sola) dimostrazione che i maggiori ricavi dell’ente siano stati accantonati o reinvestiti (ex plurimis, Cass. n. 18032/2013, Cass. n. 24534/2017, Cass. n. 29412/2017, Cass. n. 32959/2018), prova che il contribuente può fornire anche nel suo ruolo di titolare meramente formale delle quote, ma estraneo di fatto alla gestione societaria, perché comunque il ruolo formale permetterebbe, se del caso, di accedere ai libri sociali per acquisire elementi a tal fine.

7.2. Successivamente, si è riconosciuta la possibilità per il socio di vincere la presunzione di distribuzione degli utili extra bilancio, dando la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria, avendo ricoperto un ruolo meramente formale di semplice intestatario delle quote sociali, senza avere concretamente svolto alcuna delle attività di gestione e controllo riservate dalla legge (e dallo statuto) al socio della società a responsabilità limitata (ex plurimis, Sez. 5, Ordinanza n. 15991 del 7/6/2024; Sez. 6-5, Ordinanza n. 7170 del 04/03/2022, rv. 664082 – 01; Sez. 5, Ordinanza 15/9/2021, n. 24870; Sez. 5, Ordinanza 1/12/2020, n. 27445; Sez. 5, Ordinanza 24/7/2020, n. 15895; Sez. 6-5, Ordinanza n. 18042 del 09/07/2018, rv. 649406-01; Sez. 5, Sentenza 14/7/2017, n. 17461; Sez. 6-5, Ordinanza 22/12/2016, n. 26873; Sez. 6-5, Ordinanza 2/2/2016, n. 1932).>>.

 

Tanto premesso, i giudici di legittimità hanno ritenuto di aderire al secondo orientamento, così evidenziando:

<<Tuttavia, in questa sede, si intende ribadire la tesi emersa più di recente – da ultimo confermata da Sez. 5, Ordinanza n. 18764 del 09/07/2024, Rv. 671633-01- e che ammette, come prova contraria alla presunzione di distribuzione degli utili extra bilancio, anche la dimostrazione dell’assoluta estraneità del socio alla gestione e conduzione societaria. Ciò, infatti, non collide affatto con la ragione dell’operatività della presunzione in parola, che si fonda appunto sulla massima di comune esperienza che, dalla ristrettezza della base sociale, inferisce un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società e di reciproco controllo tra i soci medesimi. Una volta dimostrata, a dispetto della ristretta base sociale, l’assoluta estraneità del socio alla gestione e alla vita stessa della società, la suddetta massima di esperienza perde il suo rilievo probatorio e non consente più di ritenere legittima la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili in favore di tutti i soci.>>.

 

Ebbene, nel caso di specie, la Corte di Cassazione – pur riconoscendo la possibilità per il socio di vincere la presunzione di distribuzione di utili extracontabili dimostrando anche solo la propria estraneità alla conduzione e gestione societaria – ha cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado dell’Umbria per la decisione nel merito.

 

  1. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Alla luce di quanto sopra esposto, con la recente ordinanza n. 2464 del 02 febbraio 2025 in commento, la Corte di Cassazione, riconosciuta la legittimità della presunzione di distribuzione degli utili occulti ai soci, si è soffermata sul contenuto della prova liberatoria idonea a vincere la suddetta presunzione, aderendo al più recente orientamento di legittimità che, senza dubbio, è meno “stringente” di quello tradizionale.

Nello specifico, i giudici di legittimità hanno chiarito che la prova contraria alla presunzione de qua può consistere:

  • non solo nella dimostrazione della mancata realizzazione di maggiori utili da parte della società ovvero dell’avvenuto accantonamento o reinvestimento degli utili da parte della società;
  • ma anche nella dimostrazione dell’estraneità alla conduzione e gestione societaria.

Infine, si rende opportuno evidenziare che la suddetta pronuncia di legittimità non risolve i problemi legati all’utilizzazione delle presunzioni giurisprudenziali (come quella del caso di specie).

Ed invero, ammettendo la legittimità della presunzione de qua, l’ordinanza in commento non tiene conto del nuovo comma 5-bis dell’art. 7 D. Lgs. n. 546/1992, introdotto dalla Legge n. 130/2022 e in vigore il 16 settembre 2022, il quale ha modificato la portata applicativa delle presunzioni giurisprudenziali (come quella del caso di specie).

Pubblicato da:

Maurizio Villani

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