NEI CASI DI ACCERTAMENTO DEL REDDITO DI UNA SOCIETÀ A RISTRETTA BASE AZIONARIA DIVENUTO DEFINITIVO PER RAGIONI MERAMENTE PROCEDURALI, AL SOCIO DEVE ESSERE RICONOSCIUTA LA POSSIBILITA’ DI CONTESTARE IL QUANTUM DEL REDDITO DI PARTECIPAZIONE ATTRIBUITOGLI
Cassazione civile, Sez. Trib., Ordinanza n. 6001 del 6 marzo 2025
di Federica Attanasi e Maurizio Villani
MASSIMA: Il regime di pregiudizialità tra l’accertamento del reddito societario e il reddito di partecipazione attribuito al socio di società di capitali a ristretta base partecipativa non opera qualora l’accertamento nei confronti della società divenga definitivo per ragioni meramente procedurali, quali l’omessa o tardiva impugnazione dell’atto impositivo, anziché per una valutazione di fondatezza nel merito. In tali ipotesi, il socio mantiene il pieno diritto di contestare, in relazione al reddito di partecipazione a lui attribuito, sia l’effettiva distribuzione degli utili in suo favore, sia l’esistenza stessa di redditi distribuibili da parte della società.
- CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE
La Corte di Cassazione, con la recentissima ordinanza del 06 marzo 2025 n. 6001, ha fornito un’utile riflessione in tema di tardiva impugnazione dell’accertamento notificato a una società a ristretta base partecipativa, evidenziando che nelle ipotesi di accertamento societario divenuto definitivo per ragioni meramente procedurali (quali l’omessa o tardiva impugnazione dell’atto impositivo), al socio deve essere riconosciuta la possibilità di far valere le proprie ragioni nel giudizio relativo al reddito di partecipazione attribuitogli.
- IL CASO
Al fine di inquadrare più nel dettaglio la quaestio iuris in oggetto, occorre chiarire che la vicenda de qua trae origine da una contestazione fatta dell’AdE a una srl a ristretta base partecipativa per redditi non dichiarati nel triennio 2009 – 2012 e, di conseguenza, imputati al socio quale reddito di partecipazione.
Per tale ragione, società e socio impugnavano gli atti impositivi dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di l’Aquila (oggi denominata Corte di Giustizia Tributaria di primo grado). In primo grado, previa riunione dei gravami, la Corte riduceva le sanzioni irrogate e confermava nel resto gli atti impositivi.
Conseguentemente, la suddetta pronuncia veniva impugnata da società e socio e riformata dai giudici di secondo grado. In particolare, la CTR:
- riduceva il reddito accertato nei confronti della società per gli anni dal 2010 al 2012;
- mentre, in relazione all’anno 2009, rilevava la tardività dell’impugnazione proposta dalla società e, pertanto, l’inammissibilità del ricorso, discendendone la definitività dell’accertamento. Precisamente, la CTR rigettava il ricorso ritenendo che il socio, essendo divento incontestabile l’accertamento nei confronti della società, non potesse più utilmente impugnare l’atto impositivo relativo al reddito di partecipazione emesso nei suoi confronti.
Ebbene, avverso tale sfavorevole pronuncia, il socio proponeva ricorso per Cassazione sulla scorta dei seguenti motivi:
- ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., contestava la violazione dell’art. 2697 c.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (per aver la CTR confermato un atto impositivo che attribuisce un reddito di partecipazione al socio, ma in relazione a un anno in cui nessun reddito risulta conseguito dalla società);
- ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., contestava la violazione degli artt. 112 e 277 cpc, nonché dell’art. 47 del D.Lgs n. 917/1986, per aver il giudice del gravame connesso alla dichiarata inammissibilità del ricorso proposto dalla società la definitività dell’accertamento emesso nei confronti del socio.
In altri termini, il contribuente con la suddetta impugnazione censurava la decisione emessa dalla CTR per aver ritenuto che la dichiarata inammissibilità del ricorso proposto dalla società avesse di riflesso reso definitivo anche l’accertamento del reddito di partecipazione conseguito.
Ebbene, la Suprema Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla quaestio iuris, con l’ordinanza n. 6001/2025 accoglieva il ricorso proposto dal contribuente, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, in diversa composizione.
- LA SOLUZIONE GIURIDICA
Come anticipato in premessa, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento n. 6001/2025, ha fornito un’utile riflessione sul tema della presunta distribuzione degli utili extracontabili.
Più nel dettaglio, la Suprema Corte, richiamando l’orientamento già espresso dai giudici di legittimità con l’ordinanza n. 10723/2021, ha inteso chiarire che qualora l’accertamento del reddito societario divenga definitivo per ragioni di rito, tanto non esclude la possibilità per il socio di far valere le proprie ragioni nel giudizio relativo al reddito di partecipazione che gli sia stato attribuito. In queste ipotesi, infatti, “non viene compiuta alcuna verifica circa l’inesistenza dell’imponibile non dichiarato, sicché tale pronuncia non può fare stato nei confronti dei soci, dovendosi ritenere che proprio la mancanza di un accertamento irrefutabile sull’inesistenza nel merito della pretesa correlata ai ricavi non contabilizzati, impregiudicata la sorte dell’accertamento notificato alla società, possa essere posto a base della pretesa nei confronti del socio e costituire, se dimostrato dall’Ufficio, condizione legittimante della richiesta fiscale correlata al maggior reddito di partecipazione a carico del socio” (nello stesso senso, già Cass. 7/6/2016, n. 11680).
In altre parole, l’invalidità, per motivi di rito, dell’accertamento emesso nei confronti di una società a ristretta base, non determina necessariamente l’impossibilità dei soci di esperire un’adeguata difesa processuale, costituendo tanto una significativa apertura a tutela del socio.
Pertanto, la mancanza di un accertamento sull’esistenza nel merito della pretesa correlata ai ricavi non contabilizzati non può essere posta di riflesso alla base della pretesa nei confronti del socio.
Alla luce di quanto suddetto, i giudici di legittimità, con l’ordinanza in commento hanno indicato il seguente principio di diritto:
“Il regime di pregiudizialità nei giudizi tra l’accertamento del reddito societario e il reddito di partecipazione attribuito al socio di società di capitali a ristretta base partecipativa viene meno nel caso in cui l’accertamento nei confronti della società divenga definitivo non perché giudizialmente ritenuto fondato nel merito, bensì a causa dell’omessa impugnazione dell’atto impositivo o di vizi procedurali dell’impugnativa proposta dalla società; in tali casi il socio può pertanto contestare, con riferimento al reddito di partecipazione a lui attribuito, non solo la mancata distribuzione in suo favore degli utili conseguiti dalla società, ma anche la stessa percezione di redditi distribuibili da parte della società”.
In altri termini, la Suprema Corte, nel delineare il perimetro relativo alla nota presunzione di origine giurisprudenziale secondo cui nelle società di capitali a ristretta base partecipativa i redditi accertati in capo alla società si presumono distribuiti ai soci, ha evidenziato che, se l’accertamento del reddito societario diviene definitivo per ragioni di rito o per mancata impugnazione nei termini, il socio può far valere le proprie ragioni nel giudizio relativo al reddito di partecipazione imputatogli di riflesso. In tali ipotesi, infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità, il socio mantiene inalterato il pieno diritto di contestare, in relazione al reddito di partecipazione a lui attribuito, sia l’effettiva distribuzione degli utili in suo favore, sia l’esistenza stessa di redditi distribuibili da parte della società.
- OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
In conclusione, con la recente ordinanza n. 6001 del 06 marzo 2025 in commento, sul tema della presunta distribuzione degli utili extra contabili, ha ribadito la linea interpretativa secondo cui i giudici chiamati a pronunciarsi sul reddito di partecipazione del socio dovranno procedere ad un’autonoma e più attenta valutazione nel merito della fondatezza della pretesa impositiva, prescindendo dalla definitività dell’accertamento societario determinata da ragioni meramente procedurali.
Va da sé, che tale principio sembra fondarsi sulla necessità di garantire l’effettività del diritto di difesa del socio, il quale non può sempre vedere pregiudicate le proprie ragioni da mere preclusioni procedurali verificatesi nel giudizio riguardante la società.
In tal senso, gli Scriventi auspicano anche un’apertura, o quantomeno un chiarimento, con riferimento a tutte quelle ipotesi in cui le società, per ragioni di convenienza economica, decidano di aderire a strumenti deflattivi del contenzioso piuttosto che incardinare processi tributari; ebbene, anche in questi casi sarebbe opportuno che ai soci venga riconosciuta la possibilità di difendersi autonomamente in giudizio, senza essere necessariamente “travolti” dalle sorti della società.