Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Gradi del Lazio, Sezione Terza, sentenza n.1828/2025 del 15.1.2025, pubblicata il 20.3.2025 (RGR 4239/2019)
Inesistenza, con esclusione di qualsiasi sanatoria per raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art.156 c.p.c., della notifica dell’atto tributario con l’utilizzo da parte del notificante di un indirizzo di posta elettronica certificata non risultante dai pubblici elenchi introdotti dagli artt.16 ter comma 1 D.L. n.179/2012 (Pubblici elenchi per notificazioni e comunicazioni) e 57 bis D. Lgs. n.82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale)
La Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado di Roma ha confermato l’orientamento di merito, già espresso dalla Corte di Cassazione (ordinanza n.3093/2020; sentenza n.17346/2019) per il quale la notifica da parte dell’Ufficio impositore di un atto tributario da un indirizzo di posta elettronica certificata non inserito nei pubblici registri (IPA, ReGIndE, INI-PEC) è inesistente e non suscettibile di sanatoria per raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art.156 c.p.c..
Il giudice tributario di appello ha argomentato tale decisione sulla base delle seguenti considerazioni.
La mancanza dell’accreditamento dell’indirizzo dal quale proviene l’atto tributario secondo quanto previsto dagli artt.16 ter comma 1 D.L. n.179/2012 (Pubblici elenchi per notificazioni e comunicazioni) e 57 bis D. Lgs. n.82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale) preclude al contribuente – afferma la sentenza in esame – di verificare la provenienza del messaggio e, in particolare, la sua attribuibilità alla specifica alla specifica Amministrazione menzionata come mittente.
Il giudice tributario di appello ha affermato in proposito che il Legislatore ha stabilito la necessità, pena la sua inesistenza, che la notifica avvenga attraverso indirizzi di posta elettronica risultanti da pubblici elenchi per assicurare la certezza sulla provenienza e sulla destinazione dell’atto da notificare anche per l’Amministrazione e non solo per il contribuente, non potendo quindi utilizzarsi “indirizzi non ufficiali poiché ciò non consente assoluta certezza della provenienza dell’atto impugnato, atta a comprovare l’affidabilità giuridica del contenuto dello stesso”.
La sentenza in esame cita a supporto della tesi anche altre tre sentenze (Corte di Giustizia di Primo Grado di Roma n.6298/2022; Corte di Giustizia Tributario di Secondo Grado del Lazio n.2633/07/2022 e n.915/2022) a proposito del fatto che “utilizzando un indirizzo pec non certificato e non inserito in pubblici registri il messaggio di posta elettronica difetta di un requisito indispensabile a tal fine, non consentendo al destinatario di essere messo in condizioni di conoscerne il contenuto senza correre il rischio di essere attaccato da c.d. Malware”.
Insomma, se l’Amministrazione intende eseguire una notifica a mezzo posta elettronica certificata di un atto tributario esistente e valida, deve necessariamente utilizzare un indirizzo iscritto nei pubblici registri istituiti da Legislatore.
L’approdo della questione innanzi alla Corte di Cassazione offrirebbe la possibilità di aggiungere un ulteriore tassello alla formazione della giurisprudenza di legittimità sull’argomento.
(Questo articolo è stato redatto con la collaborazione della Dott.ssa Sara Minnucci)