Cultura, democrazia e prevenzione criminale.
Il primo strumento per la prevenzione della criminalità è quello della promozione della cultura, dato che sin dalla Grecia antica venne ad affermarsi il principio che la scuola non dovesse mirare tanto ad avviare ad una data professione, quanto a formare degli uomini liberi e raziocinanti, in grado di operare scelte consapevoli, una volta divenuti cittadini adulti. Platone (V – IV sec. a.C.)così teorizzava : “vi è intrinseca alle cose una loro razionalità; vi è un ordine universale , un sistema di interdipendenza fra tutte le cose, per cui tutta la Natura è come se fosse imparentata con se medesima. Ma questa razionalità oggettiva non si afferma nella sua purezza e necessità, se non in quanto la nostra ragione la riconosce come sua, come a sé interiore” .
Un secolo prima ed in tutt’altra parte del mondo, Confucio aveva postulato l’esigenza dell’Uomo di vivere in armonia con la natura e con i propri simili (singolare analogia con Platone) ed i governanti erano tenuti, prima di ogni altro, a fornire esempi di rettitudine e di virtù (altra analogia, qui con Aristotele).
Nei rapporti sociali, compresi quelli tra governanti e governati, non era la forza a dover prevalere o la coazione, bensì la persuasione, il ragionamento, per addivenire ad una soluzione basata sul consenso scaturente da una razionalità comune e condivisa ( la teoria del consenso era la medesima insita nel contrattualismo occidentale).
La cultura è pertanto il sale della democrazia, poiché chi ignora non discerne, e chi non discerne si rende facile preda delle lusinghe dei demagoghi , pronti a rivelarsi tiranni alla prima favorevole occasione.
Nell’era moderna il protestante francese Calvino (1509-1564) pose tra i compiti dello Stato l’istruzione, riguardo alla quale va ricordato che egli fu il primo in Europa a postularne l’obbligatorietà per il ciclo elementare.
Ma non solo nel Protestantesimo furono fervide le iniziative in favore della scuola, poiché nel ‘500 il mondo cattolico vide impegnati in tale ambito vari ordini religiosi , con il comune intendimento di raccogliere i giovani sbandati e senza famiglia, al fine precipuo di combattere l’analfabetismo, l’ignoranza e la criminalità, seguendo gli allievi dentro e fuori dalle aule .
Nel secolo dei Lumi (XVIII) l’istruzione (in particolare quella elementare) già in prevalenza impartita da un clero istituzionalmente impegnato a formare dei buoni cristiani oltre che dei buoni cittadini, fu inquadrata in una nuova ottica che esaltava la centralità dello Stato, per cui doveva essere improntata a caratteri di laicità, di gratuità e di pubblicità, con la conseguente avocazione di tale settore da parte dello Stato medesimo.
Il Vico (1688-1744),sostenne che essenziale ai fini del progresso civile era la cultura, grazie alla quale l’uomo poteva affermare la sua socialità, l’amore per se stesso e per gli altri, l’operosità ed il rispetto delle leggi.
Il Filangieri (1752-1788)osservò che la razionalità recondita in ciascuno, emergeva grazie all’istruzione “necessaria per conoscere i veri interessi, per distinguere i vantaggi reali dagli apparenti”, e per “diminuire i tristi effetti della corruzione, ed innalzare il solo argine che oggi si oppone ai progressi del dispotismo e della tirannide” .
Un altro grande italiano di respiro europeo fu il Beccaria (1738–1794), autore del celeberrimo Dei delitti e delle pene, dove – tra l’altro – sostenne che lo Stato doveva assicurare una giustizia rispettosa dei diritti umani, mirando più alla prevenzione che alla repressione dei crimini, avvalendosi a tal fine soprattutto dello strumento della cultura.
Kant (1724-1804) dette grande risalto all’educazione dei giovani, quale strumento per lo sviluppo della civiltà, per seguire la via della coscienza ed a prefiggersi, come obiettivo di vita, la conquista della propria libertà.
Il Romagnosi (1761-1835) aveva esaltato il ruolo dell’istruzione, che mai avrebbe dovuto rendere l’allievo “addottrinato”, bensì avrebbe dovuto spingerlo a ragionare, in una sorta di palestra mentale dove veniva promosso l’esercizio dei poteri mentali dell’alunno: era la c.d. “istruzione educante”.
Condorcet (1743 – 1794))nelle sue Memorie sull’istruzione pubblica, affermava che per superare le diseguaglianze cagionate dalla libertà dei commerci, era doveroso garantire la parità dell’istruzione per tutti i cittadini, convincimento che sarà più tardi ripreso da Adam Smith (1723-1790), ed oggi da Joseph Stiglitz (1943) e dal Nobel per l’economia Amartya Sen (1933) che colloca l’istruzione alla base della giustizia sociale e della libera partecipazione alla vita politica dei cittadini.
Il Foscolo (1778-1827) considerò la cultura come una missione civile per la formazione delle coscienze e l’elevazione dello spirito, come si evince dall’indirizzo di commiato rivolto ai suoi allievi dell’Università di Pavia, che prese la forma del saggio “Della morale letteraria”, protesa a promuovere “gli studi all’amor della Patria, all’indipendenza dell’opinione, ai nobili affetti del cuore ed alla costanza della mente”.
Nella seconda metà del sec XIX il De Sanctis (1817-1883), insegnando al Politecnico di Zurigo, aveva avvertito quei suoi allievi, profani di letteratura, che prima di divenire ingegneri, dovevano mirare a formarsi come cittadini completi, il che era impossibile senza una pur contenuta formazione letteraria, da lui considerata come momento ineludibile di sintesi tra tecnica ed umanesimo( ovvero –per dirla in termini attuali- tra progresso scientifico ed etica).
Nel dibattito dottrinale sul ruolo della cultura in generale, una pietra miliare sarà rappresentata dal Croce (1866-1952), che nel 1915 ne esaltò la funzione sociale, dovendo- per meritare tale nome- essere scevra da ogni contaminazione o piaggeria nei confronti del Potere, ed al contempo calarsi nella vita reale, rifuggendo da fughe nell’astratto.
Dopo la barbarie consumatasi nel corso del II conflitto mondiale, fu avvertita più forte la necessità di codificare un sistema di regole condivise, a forte valenza etica prima ancora che giuridica, per cui il 10 dicembre 1948 fu firmata a Parigi la “Dichiarazione dei Diritti umani”, redatta dalle Nazioni Unite .
Ivi, per ciò che concerne in particolare l’istruzione (artt. 26 e 27), fu sancito che ogni individuo aveva diritto a quella elementare, gratuita ed obbligatoria; che quella superiore doveva essere accessibile a tutti, privilegiando il merito; che nel suo insieme l’istruzione doveva indirizzarsi al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
L’anno prima aveva visto la luce nostra Costituzione (27.12.1947) che promuoveva lo sviluppo della personalità di ogni cittadino- innanzi tutto proprio tramite la cultura- rimuovendo così gli ostacoli che ne impedivano, altrimenti, la reale partecipazione alla vita civile e, quindi, la realizzazione di una democrazia compiuta e non meramente formale.
Uno dei Padri della Costituzione, il Calamandrei, (1889-1956) scrisse che la scuola andava considerata un “organo centrale della democrazia e complemento necessario del suffragio universale”.
Il Principe del Foro Titta Madia(1894-1976), nella sua Storia dell’Eloquenza affermò che la cultura, se priva del palpito della solidarietà umana, era “ un isolante, un cassetto a vetri dal quale si vede la gente gestire, senza udirla”.
A circa 60 anni di distanza dalla nostra Carta fondamentale, la Corte costituzionale (sentenza 256/2004) ha sottolineato che la cultura ha un rango primario nel nostro ordinamento per la compiuta concretizzazione del valore di eguaglianza (art.3,2 c.,cost.), in quanto senza cultura la parola democrazia resta un guscio vuoto.
Il Trattato di Maastricht ha delineato obiettivi comunitari anche in materia di istruzione, sicché a far data dal 1992 tale settore è stato formalmente riconosciuto come un’area di competenza titolata dell’UE., ed il principio della qualità nel campo dell’Istruzione e della formazione, ha assunto un valore centrale. Il 12 febbraio 2001 il Consiglio UE ha codificato il criterio della formazione permanente, frutto della necessità ineludibile di stare al passo con il continuo evolversi delle tecnologie e delle scoperte scientifiche.
Oggi destinare risorse economiche ad una cultura non autoreferenziale e fabbrica di illusioni, torna utile anche per prevenire che l’abbandono totale o parziale della scuola, chiamata a rafforzare il suo impegno educativo, possa portare a forme estreme di “disagio giovanile”(parola forse fin troppo eufemistica), che vanno dall’uso allo spaccio di droga, sino a forme di vera e propria delinquenza organizzata, magari anche a sfondo razziale.
I principi fondanti della nostra Costituzione, così come di quella europea, sono ispirati kantianamente alla centralità della Persona, con la sua intrinseca dignità e nel rispetto dei correlati diritti; ma a salvaguardia della democrazia non bastano delle buone leggi, cioè ispirate a razionalità , ma anche una collettività idonea a sintonizzarsi sul canale della razionalità medesima.
Notiamo che le politiche di rigore economico che tagliano gli investimenti a favore della cultura, contribuiscono ad accrescere le diseguaglianze, perché chi se lo può permettere, frequenta istituti privati o si reca all’estero, con il conseguente deficit di una democrazia come la nostra, costituzionalmente orientata alle delle pari opportunità.
Pertanto antieconomici ed improduttivi –se vogliamo attenerci ad una visione meramente contabile – sono i risparmi sulla cultura in genere e sulla scuola in particolare, poiché l’aumento della criminalità ha ben maggiori costi, nel mentre a livello delle neuroscienze è stato provato che i procedimenti neuronali sono influenzati dalla cultura e dall’educazione ricevute, che ci permettono di capire meglio le ragioni per compiere o meno una data azione. Il vivere consociativo è fondamentale, a sua volta, per poter recepire i valori condivisi dalla collettività e quelli dalla stessa rifiutati come disvalori. L’individuo-in estrema sintesi- ha bisogno di realizzarsi non come monade isolata, bensì come zoon politikon, per crescere e svilupparsi non solo sotto il profilo del sapere, ma anche sotto quello biologico.
Queste certezze scientifiche sono il punto di arrivo di intuizioni che già 35 anni or sono aveva espresso Luca Cavalli Sforza(1922-2018) ipotizzando un’interazione tra cultura e geni, intuizioni oggi confermate dalla genomica che ha riscontrato la veridicità di siffatta tesi, in quanto la crescita della conoscenza modifica il patrimonio genetico. Ci soccorre – al riguardo- anche la celeberrima tesi di Jiung (1875-1961)sul c.d. ”inconscio collettivo”, consistente da quell’insieme di cognizioni latenti che si acquisiscono ereditariamente dalle generazioni che ci hanno preceduto, le quali emergono compiutamente attraverso l’esperienza della vita reale.
Una riflessione a parte merita la cultura umanistica, al cui riguardo già nell’Ottocento il De Sanctis (1817-1883),insegnando al Politecnico di Zurigo, aveva avvertito quei suoi allievi, profani di letteratura, che prima di divenire ingegneri, dovevano mirare a formarsi come cittadini completi, il che era impossibile senza una pur contenuta formazione letteraria, da lui considerata come momento ineludibile di sintesi tra tecnica ed umanesimo( ovvero –per dirla in termini attuali- tra progresso scientifico ed etica).
Nell’età contemporanea la filosofa americana Martha Nussbaum ha sostenuto che la forza intrinseca del sapere e la sua divulgazione, sono fondamentali per la democrazia, in quanto abilitano a discernere, ad usare la creatività, ad essere compassionevoli e- in tal modo- a divenire cittadini del mondo. Asor Rosa (1933)e Galli della Loggia (1942), del pari, rivendicano l’attualità della formazione umanistica, contro l’incombente deriva tecnocratica che tutto sembra voler omologare ai freddi parametri del mercato. Parametri eticamente asettici, a fronte dei quali vengono meno le attitudini alla condivisione, alla solidarietà, al confronto con le differenze religiose, politiche ed antropologiche.
La “cultura non si mangia” disse sciaguratamente un noto economista e Ministro, fornendo una meschina motivazione ai tagli in un settore attraverso il quale- se ci volesse ridurre ad un’ angusta dimensione utilitaristica, il nostro Paese potrebbe peraltro vivere di rendita da qui all’eternità, quale” culla della civiltà” universalmente riconosciuta.
In varie circostanze il presidente Mattarella si è espresso sull’importanza della cultura, definendola come condizione di libertà e come parte essenziale della ricchezza, anche economica, di un Paese. A fronte di un ‘informazione telematica “superficiale che tutto brucia nell’istante”, con immagini o espressioni di cento caratteri e frasi incompiute, ha esaltato l’importanza di una lettura non frettolosa, quale solo lo strumento cartaceo è in grado di offrire, consentendo di affinare una reale capacità critica ed una concreta possibilità di conoscere l’ evoluzione della convivenza nel mondo.
Leggere – ha detto – è’ un antidoto all’appiattimento ed è ossigeno per le coscienze, promuovendo lo sviluppo della cultura che è uno straordinario mezzo di comunicazione tra le genti, in quanto dalla reciproca conoscenza e dal confronto con le differenze, si crea il rispetto persone e delle pluralità, e quindi la solidarietà.
Una riflessione di specie merita quella forma di criminalità che è la corruzione, fenomeno assai inquietante e pervasivo anche a causa della sua inadeguata percezione di cancerogenicità sociale.
La terapia preventiva è -anche in questo caso- una massiccia iniezione di cultura, per porre rimedio all’inaridimento spirituale che è causa ed effetto, al contempo, dell’immiserimento della politica, non più intesa come alta ed altruistica missione al servizio della collettività, bensì come mezzo per il conseguimento prioritario di gratificazioni personali, fuorvianti dalla strada che conduce alla meta del pubblico bene.
Il fenomeno non è peraltro nuovo: già Sallustio (86-34 .a. C). nel libro sulla Guerra giugurtina, scriveva che a Roma “ omnia venalia esse”, cioè che si potevano comprare favori e potere.
Il fenomeno della corruzione non è pertanto una caratteristica propria dell’età contemporanea, ma è una patologia della società incompatibile con il sistema democratico, dove l’affermazione sociale, economica, politica, deve avvenire esclusivamente in base al merito e senza alcuna contaminazione che svuota il senso stesso della democrazia, in favore di una plutocrazia dove l’unico valore di riferimento è il danaro, con qualunque mezzo conquistato.
Sovente si sente dire con qualunquismo da Bar dello Sport, che “la politica è una cosa sporca”, il che sottintende il dovere morale per le persone pulite che vogliano mantenersi tali, di astenersi da ogni imbrattamento con essa. Corollario necessario a tale premessa, è che bisognerebbe avere in partenza un’attitudine ai loschi affari, alla corruttela, per potersi dedicare all’agone politico, che in tal modo viene ad essere totalmente snaturato dal suo stesso etimo, che è quello di servizio da rendere alla “polis”, cioè alla causa del bene comune.
Il presidente Pertini (1896-1990)affermò: “La politica, se non è morale, non mi interessa […],non la considero nemmeno politica. La considero una parolaccia che non voglio pronunciare. Non esistono una moralità pubblica e una moralità privata. La moralità è una sola, perbacco! E vale per tutte le manifestazioni della vita. E chi approfitta della politica per guadagnare poltrone o prebende, non è un politico. E’ un affarista, un disonesto”.
Il presidente emerito Ciampi (1920- 2016), dal canto suo, ribadì che “la politica non è una cosa sporca,[ma che]sono gli individui che con la loro condotta riprovevole possono imbrattarla”.
Un’altra voce autorevole fu quella del Rodotà (1933-2017), il quale, a sua volta, in un saggio (Elogio del moralismo) scrisse che per aversi una sana politica, non basta il non aver violato il codice penale, dato che chi ricopre responsabilità pubbliche- vieppiù nel caso di Parlamentari- non deve venir meno a comportamenti ispirati a quei valori di “disciplina ed onore”, che sono testualmente evocati dall’art.54 cost.
Tornare ad investire in cultura, significa camminare sul tracciato delineato nel secolo scorso dal Carnelutti (1879-1965) nella prospettiva della società ideale da lui vagheggiata, che era quella di un consorzio dove sarebbe bastata la spontanea adesione alla comune morale naturale per vivere armoniosamente; ma poiché nel tempo breve la conflittualità di interessi non poteva risolversi con l’elevata coscienza morale dell’umanità intera, ecco che doveva intervenire con la forza delle proprie sanzioni il diritto, che, secondo la testuale definizione del Carnelutti medesimo “è un surrogato della libertà e, surrogandola, la sopprime […]. Il diritto c’è sempre stato perché l’umanità, dopo la caduta, ha dovuto cominciare dal basso, ma non sempre ci sarà, perché procede verso l’alto. Man mano che l’ordine etico va acquistando la sua forza, il diritto perde a poco a poco la sua ragione. Noi abbiamo, d’altra parte, dei mezzi per ottenere questo rafforzamento. L’estrema lentezza dei risultati non deve scoraggiarci
All’alba del terzo millennio, il neo umanesimo cinese, in atto mediante la rivalutazione a livello ufficiale del Confucianesimo e delle varie religioni, sta comportando un riposizionamento etico analogo a quello perorato in gran parte del mondo occidentale, con la crescente necessità di far cessare il primato dell’economia, in una ritrovata prospettiva di solidarietà che soppianti l’individualismo egoistico, la corruzione e le consorterie affaristiche.
Abbiamo detto “gran parte”, poiché è recente la diffusione in Occidente dell’epidemia di un egoismo pernicioso, i cui sintomi sono il riapparire di muri, di nazionalismi, del vitello d’oro del profitto, al cui immondo altare viene sacrificata l’umanità degli ultimi. Sono questi i segni di una civiltà regressiva ed autodistruttiva, nel momento in cui viene meno quell’armonia dei cives del mondo intero, che fu cara a Platone come a Confucio – per non parlare del Cristianesimo e delle altre grandi Religioni – in una lungimirante visione di ascesa morale e civile dell’umanità intera.
Avv. prof. Tito Lucrezio Rizzo per Vaglio Magazine