Investimenti: inadempimento dell’Intermediario per eccessiva concentrazione del portafoglio in titoli ad alto rischio
Uno dei principi cardine degli investimenti finanziari ad opera di investitori professionali, rivolti alla propria Clientela, è quello della diversificazione del portafoglio d’investimento.
Nel corso degli anni attorno a questa prassi si sono sviluppate molte teorie e diverse tecniche di realizzo soprattutto in ragione del fatto che si sono affacciati sul mercato nuovi prodotti finanziari sempre più complessi cui a volte vengono “agganciate” clausole che consentono di “spostare”, attraverso la riallocazione delle risorse, il capitale investito dal Cliente all’interno di un portafoglio d’investimento. E questo può accadere anche con diversi strumenti d’investimento e in più di un’occasione nell’ambito del rapporto di gestione.
E’ corretto sostenere che l’introduzione di norme volte a salvaguardare la corretta informazione del Cliente in seno a quelli che sono i contenuti effettivi di un determinato investimento e dei costi ad esso associati hanno altresì imposto alcuni standard di interpretazione relativi all’inadempimento da parte dell’Intermediario per comprovata ed eccessiva concentrazione del portafoglio in titoli ad alto rischio. La dimostrazione del quale tuttavia necessita di essere approfondita perchè non facilmente opponibile all’Intermediario in modo efficace.
Anzitutto per via del fatto che non è di agevole soluzione identificare quale sia la soglia oltre la quale può dirsi realizzata siffatta evenienza.
Una soglia che non è ricavabile dai documenti antecedenti alla diversificazione usualmente già e più noti alla scienza del diritto bancario da parte degli interpreti avvocati che vengono richiesti sul punto in diritto di tutelare la propria Clientela e che annoverano fra l’altro il contratto quadro stipulato con l’Intermediario ma soprattutto la profilatura Mifid del Cliente stesso.
Ciò posto e in via preliminare doverosamente rilevato, in data 3 gennaio 2018 sono entrate in vigore le modifiche apportate al TUF dal d.lgs. n. 129 del 3 agosto 2017, con cui sono state recepite nel nostro ordinamento la Direttiva 2014/65/UE (c.d. MiFID II) e la Direttiva delegata (UE) 2017/593 (c.d. Direttiva delegata) e con cui è stata adeguata la normativa domestica al Regolamento (UE) n. 600/2014. Dalla medesima data trovano inoltre diretta applicazione negli Stati membri anche i Regolamenti delegati, recanti disposizioni che integrano e attuano nel dettaglio i principi e le previsioni contenute nelle fonti europee di rango primario, fra cui, in particolare, il Regolamento delegato (UE) 2017/565 (che “integra la direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda i requisiti organizzativi e le condizioni di esercizio dell’attività delle imprese di investimento e le definizioni di taluni termini ai fini di detta direttiva”). In data 20 febbraio 2018 è entrato in vigore il nuovo Regolamento recante la disciplina in materia di intermediari, adottato con delibera Consob n. 20307 del 15 febbraio 2018.
L’interprete del diritto si trova di fronte ad una situazione non nuova in diritto bancario e dei mercati finanziari (meglio sarebbe degli investimenti) e cioè la presenza di numerose norme che indicano quello che sarebbe dovuto accadere o come si sarebbe dovuto fare ma nessuna che esplicitamente spieghi quello che non avrebbe dovuto verificarsi e come tale rivesta il ruolo di faro nella tempesta.
Per meglio circoscrivere il campo di applicazione cercherò di sintetizzare alcune definizioni, cominciando con il distinguere due macro aree di interesse ai fini di uno scritto che non sia unicamente l’elencazione di una serie di norme che a volte non sono facilmente “digeribili” dai non addetti ai lavori. Tali macro aree sono: la consulenza e la gestione individuale entrambe rispetto a quella di tipo “esecutivo” che buona parte degli operatori del diritto hanno imparato a conoscere sotto l’alea della definizione “execution only” a sua volta oggetto di numerose interpretazione sopratutto con riferimento al distinguo/inquadramento rispetto all’evoluzione della c.d. know your customer rule riferita al noto art. 39 del Regolamento Intermediari.
Attualmente però, è necessario fare un passo avanti.
La valutazione di adeguatezza da parte dell’intermediario sul proprio Cliente riguarda tutti i servizi a più alto “valore aggiunto” nei quali rientrano senza ombra di dubbio tanto la consulenza quanto la gestione del portafoglio che ovviamente non sono la stessa cosa ma sono fattispecie disciplinate da norme solo in parte diverse e fra loro potenzialmente sinergiche, comunque distinte dal punto di vista pratico.
Per prodotto di investimento s’intende lo strumento finanziario (ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, punto 15), della MiFID II) o il deposito strutturato (ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, punto 43), della MiFID II) mentre per «valutazione dell’adeguatezza» ci si riferisce all’intero processo di raccolta delle informazioni relative a un cliente e la successiva valutazione da parte dell’impresa sull’idoneità di un determinato prodotto d’investimento per detto cliente, in base anche alla solida conoscenza da parte dell’impresa dei prodotti che può raccomandare.
L’ambito sul quale si va quindi a incidere è la consulenza in materia di investimenti e gestione del portafoglio, indipendentemente dai mezzi d’interazione con la clientela. Questa è una semplificazione da cui partire.
L’informazione resa dall’intermediario in questo caso è orientata in modo semplice e chiaro sulla valutazione dell’adeguatezza (essendo pensata per strutturare un portafoglio) e sul suo scopo che è quello di consentire all’impresa di agire nel migliore interesse del cliente. Ciò significa che, per quanto possa avvalersi di supporti standardizzati è l’Intermediario che deve concepirla, cioè realizzarla e organizzarla, affinchè nella sua somministrazione alla clientela essa impresa possa/dovrebbe altresì valutare attentamente “strada facendo” se le informative scritte siano state predisposte per essere efficaci.
Tenuto conto del tipo di strumento finanziario o di operazione che l’impresa può raccomandare o concludere (compresa la complessità e il livello di rischio) potremmo sintetizzare a scopo espositivo tre differenti informazioni da organizzare:
- la natura e la portata del servizio che l’impresa può prestare;
- le esigenze del cliente;
- il tipo di cliente.
Tenendo presente che mentre la portata delle informazioni da raccogliere può variare, le norme per garantire che una raccomandazione o un investimento effettuato per conto del cliente siano adatte al cliente rimangono sempre le stesse.
Stiamo infatti affrontando la questione dal punto di vista della scienza del diritto e non dal punto di vista finanziario, economico o altro che a volte interpreti più della consulenza finanziaria o degli investimenti vanno ipotizzano intervenendo su questo ambito magari perchè richiesto da eventuali clienti.
Poichè l’obbligo di elaborare e organizzare le informazioni da raccogliere è a carico dell’intermediario e tralasciando per necessità le cautele poste dalle norme civilistiche e dall’orientamento della Cassazione in tema di risoluzione del contratto ex. art. 1453 c.c. pure con riferimento a singole operazioni di investimento in caso di inosservanza di doveri informativi o di valutazione di adeguatezza, ci interessa in questo specifico contesto definire bene che questo significa sempre che le informazioni raccolte sui loro clienti siano affidabili e coerenti, senza basarsi indebitamente sull’autovalutazione.
Pertanto studiare i profili di rischio/rendimento auspicabili avuto riguardo a futuri investimenti non è lo scopo scientifico dell’applicazione delle norme in oggetto quantunque possa essere la finalità del servizio offerto dall’Intermediario, perchè dal punto di vista del diritto quest’ultimo deve anche tener conto della percezione del rischio da parte del cliente.
Il che significa che l’eccessiva concentrazione del portafoglio che può portare a quello sbilanciamento che realizza la violazione della ripartizione e per effetto la non adeguatezza non seguirà una logica di ripartizione matematica in termini percentuali per esempio tra la liquidità e gli impieghi in strumenti finanziari bensì una personalizzazione che parte dalle disposizioni necessarie per garantire l’adeguatezza di un investimento e fra le quali andrebbero approfonditi l’articolo 16, paragrafo 2, e articolo 25, paragrafo 2, della MiFID II; articolo 21 del regolamento delegato MiFID II come pure l’articolo 54, paragrafo 9, del regolamento delegato MiFID II.
Inoltre, specialmente nella diversificazione dei profili bilanciati una fedele ricostruzione di quanto sopra porta a concepire una rilevante differenza fra la soglia minima del livello di rischio massimo compatibile con il profilo secondo il parametro adottato dall’Intermediario rispetto all’effettivo collocamento delle risorse nell’ottica dell’impiego delegato dal Cliente all’Intermediario (a mezzo del contratto) conseguentemente innalzando la concentrazione anche da un 4-5% come individuata (frequentemente) dall’Intermediario fino ad un 33-35% come effettivamente realizzata.
Il che porta inevitabilmente ad un inadempimento dell’intermediario per eccessiva concentrazione del portafoglio in strumenti finanziari non in linea con la profilatura e con le aspettative di rischio/rendimento (come sopra interpretate) tenuto conto che ove correttamente informato il Cliente non si sarebbe determinato nel porre in essere la medesima ripartizione/concentrazione. Sul punto poi l’Intermediario è chiamato ad una prova ardua se non addirittura diabolica perchè deve fornire idonee evidenze in senso esimente.
In conclusione non è affatto sbagliato sostenere che una parte rilevante delle gestioni patrimoniali in essere, soprattutto con riferimento a clientela di alto profilo in termini di impieghi di capitali in investimenti, presenta una concentrazione del portafoglio (in seno alla sua diversificazione) non in linea con le esigenze/aspettative del Cliente il quale allo stato attuale ha discrete possibilità di poter far valere i propri diritti nei confronti dell’Intermediario dal momento in cui gli investimenti operati non rendano come atteso perchè ci sono buone probabilità che il rapporto sia inficiato da una valutazione già a monte tacciabile di non pochi errori od omissioni.
Avv. Marco Solferini