(Corte Costituzionale, sentenza n. 209 del 13 ottobre 2022)
Avv. Maurizio Villani e Dott.ssa Marta Zizzari
- Premessa – 2. Il caso – 3. La motivazione della sentenza.
- Premessa
La Corte Costituzionale, con la recentissima sentenza n. 209 depositata il 13 ottobre 2022, si è espressa sulla vexata quaestio relativa al riconoscimento dell’esenzione dall’IMU ai coniugi che risiedono anagraficamente o dimorano abitualmente in immobili diversi.
Più precisamente, con la sentenza in commento, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quarto periodo, D. L. n. 201 del 6 dicembre 2011, nella parte in cui stabilisce che: “[p]er abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”. Infatti, secondo la Corte Costituzionale, il citato articolo, disponendo che per poter accedere all’esenzione dall’IMU occorre il duplice requisito della dimora abituale e non considerando sufficiente la sola residenza anagrafica, si pone espressamente in contrasto con i principi costituzionali di cui agli artt. 3, 31 e 53 Cost.
In altre parole, la Corte ha dichiarato l’illegittimità della norma nella parte in cui richiede, ai fini dell’agevolazione IMU, che l’immobile sia utilizzato come abitazione principale non solo dal soggetto passivo, ma anche dal suo nucleo familiare.
Tale illegittimità è estesa dalla Consulta anche ad altre norme, ovvero:
- all’ 13, comma 2, quinto periodo, D. L. n. 201/2011 nella parte in cui limita l’esenzione dall’IMU ad uno solo degli immobili situati nello stesso Comune. Più precisamente, tale disposizione statuisce che, nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano solo per un immobile;
- all’ 1, comma 741, lettera b), L. n. 87/1953, come modificato dall’art. 5-decies, comma 1, D.L. n. 146/2021, nella parte in cui prevede che il possessore e i componenti del suo nucleo familiare hanno diritto ad una sola agevolazione quando hanno residenze e dimore abituali diverse.
In pratica, con la sentenza in commento, la Corte Costituzionale ha riscritto la definizione di abitazione principale, definendola il luogo dove il soggetto passivo ha la residenza anagrafica e la dimora abituale, a nulla rilevando il luogo di residenza e dimora degli altri membri della famiglia.
In tal modo, dunque, si legittima lo “spacchettamento” del nucleo familiare sia all’interno dello stesso territorio comunale sia in Comuni diversi.
- Il caso
La vicenda in esame trae origine da un giudizio d’impugnativa avverso avvisi di accertamento con i quali il Comune di Napoli contestava ad un soggetto l’omesso pagamento dell’IMU per le annualità dal 2015 al 2018, in relazione alla sua abitazione principale sita in Napoli.
In particolare, la CTP di Napoli (oggi denominata Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Napoli) rappresentava che:
- il contribuente, possedendo tutti i requisiti di legge, aveva reclamato il diritto all’esenzione dal tributo comunale sul presupposto che l’immobile in questione costituisse residenza e dimora abituale dell’intero nucleo familiare;
- invece, il Comune aveva negato tale diritto sul presupposto che il nucleo familiare non risiedesse interamente nello stesso immobile, poiché il coniuge risultava residente in un altro Comune.
Ebbene, con ordinanza del 22 novembre 2021, iscritta al n. 3 del registro ordinanze 2022, la CTP di Napoli (oggi denominata Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Napoli) ha sollevato, in riferimento agli artt. 1, 3, 4, 29, 31, 35, 47 e 53 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quinto periodo, D. L. n. 201/2011, nella parte in cui non prevede l’esenzione dall’IMU per l’immobile adibito a dimora principale del nucleo familiare, quando anche solo uno dei suoi componenti abbia la residenza o la dimora in un immobile sito in un altro Comune.
Sul punto, la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 94 del 12 aprile 2022, iscritta al n. 50 del registro delle ordinanze 2022, ha sollevato dinanzi a sé, in riferimento agli artt. 3, 31 e 53 Cost., questioni di legittimità costituzionale del quarto periodo dell’art. 13, comma 2, D. L. n. 201/2011, nella parte in cui, ai fini dell’agevolazione, considera quale abitazione principale quella in cui il possessore e anche l’intero nucleo familiare hanno la residenza anagrafica e la dimora abituale.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 209 del 13 ottobre 2022, ha dichiarato l’illegittimità costituzione della norma censurata in riferimento agli artt. 3, 31 e 53 Cost., poiché il riferimento al “nucleo familiare” penalizza, in maniera discriminatoria ed ingiustificata, coloro che si uniscono in matrimonio o in unione civile rispetto non solo alle persone singole, ma anche alle coppie di mero fatto che godono di un’esenzione doppia.
Infatti, afferma la Corte “nel nostro ordinamento non possono trovare cittadinanza misure fiscali strutturate in modo da penalizzare colore che, così formalizzando il proprio rapporto, decidono di unirsi in matrimonio o di costituire una unione civile”. Da ciò ne discende che, non considerare sufficiente ai fini dell’esenzione dall’IMU sulla prima casa la residenza e la dimora abituale in un determinato immobile, rappresenta un’evidente discriminazione rispetto ai conviventi di fatto che godono dell’esenzione per ciascun rispettivo immobile.
Con la sentenza de qua, la Corte ha disposto che l’abitazione principale è quella dove il possessore ha la residenza anagrafica e la dimora abituale, non essendo necessario che l’intero nucleo familiare abbia la residenza e la dimora nello stesso luogo, con la conseguenza che i coniugi residenti in immobili siti in Comuni diversi possono godere della doppia esenzione dall’IMU, contrariamente a quanto previsto dall’art. 13, comma 2, D. L. n. 201/2011, dichiarato, appunto, illegittimo.
Infine, a causa del frequente fenomeno delle residenze fittizie, la Corte ha concluso che tale fenomeno può essere contrastato dai Comuni, provando l’assenza di dimora abituale.
Pertanto, poiché alla luce della nuova interpretazione, l’agevolazione IMU richiede la residenza anagrafica e la dimora abituale da parte del possessore dell’immobile, l’assenza di dimora, provata dal Comune, comporta il venir meno del diritto all’agevolazione.
- La motivazione della sentenza
Occorre preliminarmente evidenziare che il giudizio promosso dalla CTP di Napoli (oggi denominata Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Napoli), con l’ordinanza iscritta al n. 3 del registro ordinanze 2022, e quello promosso dalla stessa Corte Costituzionale, con ordinanza iscritta al n. 50 del registro ordinanze 2022, sono stati riuniti e decisi entrambi con la sentenza in esame (n. 209 del 13 ottobre 2022), in quanto relativi a questioni fra di loro connesse. Sul punto si sottolinea, inoltre, che la Corte ha previamente trattato le questioni di legittimità costituzionale da sé sollevate, in quanto hanno un carattere pregiudiziale rispetto a quelle sollevate dalla CTP di Napoli.
La Corte ha esordito affermando, innanzitutto, la contrarietà dell’art. 13, comma 2, quarto periodo, D. L. n. 201/2011 al principio di uguaglianza e ragionevolezza, ex art. 3 Cost., in quanto penalizza il “nucleo familiare”, nella parte in cui considera necessari i requisiti di residenza anagrafica e dimora abituale non solo per il possessore dell’immobile, bensì per l’intero nucleo familiare.
Più nello specifico, in base alla predetta disposizione, ai fini dell’agevolazione IMU, viene considerato “abitazione principale” l’immobile nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. In altre parole, per poter accedere all’esenzione dall’IMU, è necessario che l’immobile sia utilizzato come abitazione principale non solo dal soggetto passivo, ma anche dal suo nucleo familiare.
Da questo ne discende la paradossale conseguenza che, quando ancora il nucleo familiare non si è formato (come nel caso delle coppie di fatto), è riconosciuto in capo a ciascun possessore di immobile, che vi risiede anagraficamente e dimora abitualmente, il diritto all’esenzione dal tributo comunale.
Al contrario, una volta che due soggetti decidono di formalizzare la loro unione mediante matrimonio o unione civile, tale diritto non è più riconosciuto quando anche solo uno dei componenti del nucleo familiare abbia la residenza anagrafica o la dimora abituale in un immobile diverso.
Inoltre, si rileva che, con la sentenza in esame, la Consulta ha disatteso quanto precedentemente statuito dalla Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 17408/2021, nella quale i giudici di legittimità, accogliendo un orientamento opposto rispetto a quello della Corte Costituzionale, hanno escluso la possibilità di applicare l’agevolazione IMU nel caso in cui il possessore e il suo nucleo familiare non dimorino abitualmente e non risiedano anagraficamente nello stesso immobile. In altre parole, secondo l’orientamento della Suprema Corte, se due coniugi risiedono in due Comuni diversi nessuno dei loro immobili potrebbe beneficiare dell’esenzione dal tributo comunale.
Tale pronuncia di legittimità è stata successivamente neutralizzata dall’art. 5-decies, comma 1, D.L. n. 146/2021, con il quale il legislatore ha stabilito che “nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale o in comuni diversi, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile, scelto dai componenti del nucleo familiare”.
Tuttavia, oltre al fatto che tale disposizione ha suscitato diversi dubbi in quanto non fornisce criteri precisi per l’identificazione dell’immobile da esentare, è chiaro che sia l’orientamento che prevede un’esenzione parziale sia l’orientamento più rigido della Suprema Corte di Cassazione danneggiano le coppie unite in matrimonio o in unione civile.
Di conseguenza, anche l’art. 5-decies, comma 1, D.L. n. 146/2021 è stato dichiarato illegittimo dalla Consulta, in quanto anch’esso nega una doppia esenzione per ciascuno degli immobili nei quali i coniugi hanno la dimora abituale o la residenza anagrafica.
Sul punto, la Corte chiarisce poi che, in un contesto in continua evoluzione come quello attuale, è sempre meno raro che persone unite in matrimonio o unione civile decidano di vivere in luoghi diversi. Dunque, dispone la Corte, “in tal caso, ai fini del riconoscimento dell’esenzione dell’abitazione principale, non ritenere sufficiente la residenza e – si noti bene- la dimora abituale in un determinato immobile (…) determina una evidente discriminazione rispetto a chi, in quanto singolo o convivente di fatto, si vede riconosciuto il suddetto beneficio al semplice sussistere del doppio contestuale requisito della residenza e della dimora abituale nell’immobile di cui sia il possessore”.
Ciò posto, la Corte Costituzionale ha affermato che l’art. 13, comma 2, quarto periodo, D. L. n. 201/2011, “disciplinando situazioni omogenee in modo ingiustificatamente diverso”, è pienamente in contrasto con il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 Cost.
Tale illegittimità costituzionale determina, in modo consequenziale, anche per l’illegittimità di ulteriori norme che prevedono disposizioni identiche in materia di esenzione dall’IMU.
Più in particolare, dall’illegittimità del quarto periodo dell’art. 13, comma 2, D. L. n. 201/2011 ne discende l’illegittimità:
- del quinto periodo dell’art. 13, comma 2, D. L. n. 201/2011, la cui ratio è incompatibile con tutto quanto appena affermato;
- dell’art. 1, comma 741, lett. b), L. n. 160/2019, come modificato dall’art. 5-decies, comma 1, D.L. n. 146/2021.
Ebbene, la Consulta dichiara illegittime le predette disposizioni perché, oltre che con l’art. 3 Cost., sono in evidente contrasto con:
- l’art. 31 Cost., nella parte in cui non agevolano in alcun modo la formazione della famiglia, ma anzi comportano una vera e propria penalizzazione del nucleo familiare;
- l’art. 53 Cost., in quanto non è riscontrabile, ai fini dell’agevolazione IMU, una maggiore capacità contributiva del nucleo familiare rispetto alle persone singole.
Infine, la Corte ha ritenuto opportuno chiarire che le dichiarazioni di illegittimità costituzionale non determinano, in nessun modo, una situazione in cui le seconde case delle coppie unite in matrimonio o in unione civile possano usufruire dell’esenzione dal tributo comunale.
Su questo aspetto, conclude la Consulta, le dichiarazioni di illegittimità costituzionale cercano di responsabilizzare i Comuni e le altre autorità preposte ad effettuare i controlli all’uopo necessari.
Difatti, ben consapevole del diffuso fenomeno delle residenze fittizie, la Consulta ha disposto che il Comune può contrastare tale fenomeno fornendo prova dell’assenza di dimora abituale e ha specificato che “(…) i comuni dispongono di efficaci strumenti per controllare la veridicità delle dichiarazioni, tra cui (…) anche l’accesso ai dati relativi alla somministrazione di energia elettrica, di servizi idrici e del gas relativi agli immobili ubicati nel proprio territorio (…)”.
In conclusione, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 209 del 13 ottobre 2022, ha disposto che, ai fini dell’esenzione dall’IMU, l’abitazione abituale è quella dove il soggetto passivo ha la residenza anagrafica e la dimora abituale, essendo irrilevante il luogo in cui risiedono e hanno la dimora gli altri membri della famiglia.
Dunque, l’esenzione può riguardare anche immobili siti nello stesso Comune, ma a condizione che venga dimostrato il requisito della dimora abituale. Infatti, la Corte ha precisato che il Comune ha l’onere di verificare l’esistenza dei predetti requisiti, mediante la valutazione dei dati relativi ai consumi di acqua, gas e luce. Nel caso in cui il Comune riesca a dimostrare l’assenza del requisito della dimora abituale, viene meno il diritto del soggetto passivo all’agevolazione.