LA FASE ISTRUTTORIA (PRIMA E DOPO LA DELEGA FISCALE)

Tempo di lettura stimato: 15 minuti

La delega fiscale ha modificato sostanzialmente la fase istruttoria del processo tributario.

Prima di commentare ed analizzare le modifiche previste, vediamo come è disciplinata oggi la fase istruttoria

  1. I MEZZI DI PROVA AMMISSIBILI

Gli strumenti probatori utilizzabili nel processo tributario sono sostanzialmente documentali. La prova documentale costituisce, infatti, la “prova regina” nel processo tributario. Le parti hanno l’onere di produrre i documenti o con il ricorso introduttivo ovvero fino a 20 giorni liberi prima dell’udienza (art. 32 d.lgs. 546/92). Possono produrre documenti anche in appello (art. 58, comma 2, d.lgs. 546/92), ovviamente nel rispetto dei termini fissati dalla legge processuale.

Le prove documentali ammesse nel processo tributario sono:

Gli Atti Pubblici: come disciplinato dall’art.2700 c.c. “L’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso[221 c.p.c.], della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”.

L’atto pubblico ha un’efficacia probatoria piena e, limitatamente a ciò che documenta, vincola il giudice nella sua valutazione. Fa fede per le attestazioni che riguardano l’attività svolta dal pubblico ufficiale, per la contestazione dei fatti avvenuti in sua presenza e per le dichiarazioni resegli limitatamente al loro contenuto estrinseco. Tale efficacia probatoria non si estende al contenuto sostanziale delle dichiarazioni delle parti. Il pubblico ufficiale non è nelle condizioni di poter garantire la veridicità e la serietà delle dichiarazioni ricevute. La non veridicità del fatto potrà, quindi, essere dimostrata tramite gli ordinari mezzi di prova. Ed invero, la contestazione del contenuto dell’atto pubblico, potrà essere rilevata dalla parte interessata solo in sede civile dinanzi al Giudice Ordinario mediante apposito procedimento di querela di falso (che può essere proposta tanto in via principale quanto in corso di causa, in qualunque stato e grado di giudizio, finché la verità del documento non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato). In tal caso, ex art. 39 d.lgs 546/92, il processo dovrà essere sospeso in attesa della pronuncia del giudice ordinario (Cfr. Corte di Cassazione sentenza n. 8046/2013).

Scrittura Privata Semplice: si tratta di un documento redatto da uno o più soggetti e destinato ad assumere un valore di piena provanei suoi confronti.

La scrittura privata non autenticata o semplice è sottoscritta dalla parte liberamente, in modo autonomo e non davanti ad un pubblico ufficiale. È tale, ad esempio, la corrispondenza tra privati.

Fa fede, fino a querela di falso, solo in ordine alle dichiarazioni, alla provenienza delle dichiarazioni e non anche alla data e alla veridicità del contenuto. In buona sostanza, la scrittura privata non fa alcuna prova diretta della verità di quanto eventualmente dichiarato; a differenza dell’atto pubblico essa non prova neanche la verità dei fatti che la scrittura attesti essere state compiute dal suo autore o alla sua presenza.

In definitiva, la sua efficacia probatoria è “forte” nelle ipotesi in cui contenga una manifestazione di volontà, mentre è “debole” quando si limita ad esprimere una dichiarazione di scienza; per tale ragioni definirla “prova documentale” rischia di risultare improprio perché di fatto si tratta di prove che derivano da documenti in senso materiale e non di prove documentali in senso stretto.

L’art. 214 c.p.c., riconosce la possibilità per la parte contro cui viene prodotta, di disconoscerla entro la prima udienza o con la prima risposta successiva alla produzione. Successivamente, la parte che ha prodotto la scrittura potrà:

– non agire;

– proporre un’istanza al fine di avviare il procedimento di verificazione.

Scritture Private Autenticate: è il documento sottoscritto dalla parte contro cui è destinato a costituire una prova. Viene definita “autenticata” perché un notaio o un altro pubblico ufficiale hanno attestato che la sottoscrizione del documento è avvenuta in sua presenza, previo accertamento dell’identità del soggetto che ha sottoscritto il documento (ex art. 2703 c.c.).

Essa, ex art. 2702 c.c. “fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta” ed, inoltre, come previsto dall’art. 2704  c.c., si estende anche nei confronti dei terzi.

Copie Fotostatiche: possono essere semplici o autenticate e il loro valore probatorio è lo stesso attribuito al documento originale (fatta eccezione per le ipotesi in cui dovesse verificarsi un eventuale disconoscimento).

Supporti Informatici: costituiscono rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti. Come previsto dall’art. 20 co.1 bis del D.lgs 82/2005 “L’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità, fermo restando quanto disposto dall’ articolo 21”.

Corrispondenza: si concretizzano in mere comunicazioni scritte tra le parti relative a fatti oggetto di causa (ne sono un esempio il fax, il telegramma e le lettere).

 Libri e Scritture Contabili: come previsto dall’art. 2709 del c.c. “librie le altre scritture contabili delle impresesoggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore. Tuttavia chi vuol trarne vantaggio non può scinderne il contenuto”.

Il dettato della norma attribuisce, dunque, efficacia probatoria a tutti i libri e alle altre scritture contabili che l’imprenditore detiene, anche qualora non siano correttamente annotati, con l’unica caratteristica necessaria della registrazione di fatti amministrativi dell’azienda in questione.

Le scritture contabili dell’impresa devono essere valutate nella loro totalità, non è quindi possibile che si isolino solo le parti favorevoli o meno.

In buona sostanza, è evidente come le scritture contabili costituiscano una vera e propria presunzione semplice ad evidente svantaggio per l’imprenditore. Certamente quest’ultimo potrà, però, avvalersi della prova contraria al fine di provare la loro correttezza.

Se l’imprenditore intende, invece, utilizzare libri e scritture come mezzi di prova a proprio favore, essi saranno soggetti al libero apprezzamento del giudice.

Scritture di Terzi: esse non hanno effetti vincolanti, ma hanno valore di mero indizio.

Alla luce di tanto, è necessario rilevare che l’istruttoria tributaria, non può reggersi esclusivamente su prove documentali, sia perché possono essere facilmente oggetto di falsificazione o alterazione e, inoltre, perché l’attività di reperimento di tali prove spesso viene svolta a distanza di molti anni rispetto al momento in cui il fatto è accaduto. Ciò posto, gli altri mezzi di prova ammessi sono:

Dichiarazioni rese da Terzi: Alla luce del divieto della prova testimoniale, si è discusso circa la possibilità di vietare l’utilizzo delle dichiarazioni rese da terzi a uffici e GDF durante la fase ispettiva. Ciò è stato correlato al fatto che stante il divieto di cui all’art.7 del D.lgs 546/92, il terzo non potrà essere chiamato a testimoniare su quanto sostenuto durante la fase dell’accertamento e la sua credibilità non potrà essere vagliata con l’esame orale. Ebbene (come già rilevato al punto 2.1 del presente elaborato), secondo i giudici di legittimità tali dichiarazioni non si pongono in contrasto con il divieto de quo. Le dichiarazioni rese dai terzi e la prova testimoniale avrebbero, infatti, una diversa efficacia, dovendosi ritenere tali dichiarazioni meri elementi indiziari non idonei a costituire da soli il fondamento della decisione.

Il Libero Interrogatorio: si ritiene applicabile al processo tributario anche l’istituto dell’interrogatorio libero. Non è, però, considerato un vero e proprio mezzo di prova; esso, infatti, approda a delle risultanze che non possono costituire prove piene, ma solo argomenti di prova. Si caratterizza proprio perché ha ad oggetto i fatti di causa che il giudice può esaminare al fine di ottenere dei chiarimenti su quanto allegato o comunque emerso nella causa. Diversamente, non si ritiene ammissibile nel processo tributario l’interrogatorio formale (rivolto a provocare la confessione), soprattutto alla luce del divieto previsto per altri mezzi di prova orale (che a breve analizzeremo).

La Confessione: come disposto dall’art.2730 c.c. “la confessione è la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte. La confessione è giudiziale o stragiudiziale”. La confessione che viene resa nel corso del procedimento è definita giudiziale e consiste nella dichiarazione contra se contenuta in qualsiasi atto del processo firmato dalla parte personalmente. La confessione può, inoltre, essere ottenuta anche in sede stragiudiziale (sia oralmente, che per iscritto) e assume il medesimo valore probatorio di quella resa giudizialmente. Più specificamente, in ambito tributario, la confessione stragiudiziale, è rappresentata invece dalle dichiarazioni contra se rese oralmente dal contribuente all’AF nel corso dell’attività di verifica (e riportata e sottoscritta nel PVC) ovvero resa per iscritto e riportata ad esempio in un questionario. Può, inoltre, essere spontanea, ma mai provocata (quest’ultima può essere resa solo durante l’interrogatorio formale, che è assolutamente vietato nel processo tributario).

Presunzioni Legali e Semplici purché Precise, Gravi e Concordanti

L’articolo 2727 definisce in modo generico che “le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignoto”.

Possiamo operare, dunque, una distinzione tra presunzioni legali (ex art. 2728 del C.C.) e presunzioni semplici (ex. Art. 2729 del C.C.). Le prime sono stabilite dalla legge e dunque dispensano dal dover fornire una prova coloro a favore delle quali sono state stabilite. Le seconde non sono stabilite dalla legge e vengono rilasciate alla valutazione del giudice che potrà ammetterle solo se gravi, precise e concordanti. È possibile che nel processo tributario trovino applicazione tanto le presunzioni legali, che quelle semplici.

Ne discende che, nel caso di una presunzione semplice, la parte che intende trarne un vantaggio avrà l’onere di dimostrane il fondamento; in pratica, la parte che intende avvalersene avrà l’onere di provare che gli elementi presuntivi posti a base della pretesa impositiva hanno i caratteri di gravità, precisione e concordanza.

Nel caso di una presunzione legale, di converso, sarà la legge stessa a dare fondamento ad un certo fatto; dunque la parte che intende avvalersene non avrà l’onere di dimostrarne il fondamento.

  • Per le presunzioni semplici, i fatti sui quali esse si fondano devono essere provati in giudizio e il relativo onere grava sull’Amministrazione finanziaria, la quale ha, quindi, l’onere di dimostrare che gli elementi presuntivi posti a base della pretesa impositiva abbiano i caratteri di gravità, precisione e concordanza. Sul punto, in più occasioni è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione chiarendo che “Le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione, non occorrendo l’acquisizione, a conforto, di ulteriori elementi presuntivi o probatori desunti dall’esame della documentazione contabile o bancaria del contribuente, in quanto, se gli indizi hanno raggiunto la consistenza di prova presuntiva, non vi è necessità di ricercarne altri o di assumere ulteriori fonti di prova”(Corte di Cassazione, Sezione 6 civile Ordinanza 22 maggio 2014, n. 11437).
  • Le presunzioni legalidispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali sono stabilite ex articolo 2728 cod. civ., con la conseguenza che, in tali ipotesi, si realizza una inversione dell’onere della prova, in quanto la prova di un determinato fatto viene posta a carico di una delle parti.

A tal proposito, si evidenzia che le presunzioni legali si distinguono in:

  1. relative, quando l’ente impositore si limita alla dimostrazione del c.d. fatto base del meccanismo presuntivo ed al contribuente spetta fornire la prova contraria;
  2. assolute, quando il c.d. fatto noto è equiparato al c.d. fatto presunto e non è ammessa alcuna prova contraria.

 

LA TESTIMONIANZA SCRITTA PER I RICORSI NOTIFICATI DAL 16/09/2022

La legge n. 130/2022 ha modificato l’art. 7, comma quarto, della Legge n. 546/1992 nel modo seguente:

“4.Non è ammesso il giuramento. La corte di giustizia tributaria, ove lo ritenga necessario ai fini della decisione e anche senza l’accordo delle parti, può ammettere la prova testimoniale, assunta con le forme di cui all’articolo 257-bis del codice di procedura civile. Nei casi in cui la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso, la prova è ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale.”

 

I PRINCIPI STABILITI DALLA CORTE DI CASSAZIONE

In tema di istruttoria processuale, la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, nel corso degli anni, ha stabilito i seguenti principi.

1) “La giurisdizione (piena ed esclusiva) del giudice tributario fissata dal Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 2, poi, non ha ad “oggetto” solo gli atti per così dire “finali” del procedimento amministrativo di imposizione tributaria (ovverosia gli atti definiti, propriamente, come “impugnabili” dal Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 19) ma investe – nei limiti, ovviamente, dei “motivi” sottoposti dal contribuente all’esame di quel giudice ai sensi dell’articolo 18, comma 2, lettera e), stesso Decreto Legislativo – tutte le fasi del procedimento che hanno portato alla adozione ed alla formazione di quell’atto tanto che l’eventuale giudizio negativo in ordine alla legittimità e/o alla regolarità (formale e/o sostanziale) su un qualche atto “istruttorio” prodromico può determinare la caducazione, per illegittimità derivata, dell’atto “finale” impugnato: “la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria”, infatti (Cass. un., 4 marzo 2008 n. 5791; ma già, Cass. un., 25 luglio 2007 n. 16412), ” è assicurata mediante il rispetto di una sequenza ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a farla emergere e a portarla nella sfera di conoscenza dei destinatati, allo scopo, soprattutto, di rendere possibile per questi ultimi un efficace esercizio del diritto di difesa”.

Siffatta latitudine della giurisdizione tributaria – estesa (come detto) anche al controllo della regolarità (formale e sostanziale) di tutte le fasi del procedimento di imposizione fiscale – evidenzia l’applicabilità (vanamente, pertanto, contestata dalla ricorrente) anche agli “atti istruttori” fiscali – nonostante la compressione (“comprimere fortemente”, dice la ricorrente) delle “liberta’” (“di domicilio, di corrispondenza, di libertà di iniziativa economica, ecc.”) indicate dalla contribuente posta in essere dagli stessi – del principio della non autonoma (ed immediata) impugnabilità proprio in quanto “aventi carattere infraprocedimentali” (sentenza n. 6315 del 16 marzo 2009).

 

2) “Ad ulteriore conforto va osservato che, nella disciplina della prova nel processo penale, sono messe al bando, e comunque sono private di qualsiasi valore dimostrativo, anche nelle fasi diverse dal dibattimento, le notizie rese da confidenti non identificati, che restino ignoti, non essendo poi interrogati, né assunti a sommarie informazioni, ai sensi degli artt. 203 e 267 c.p.p., come riformulati dagli artt. 7 e 10 della legge 1° marzo 2001 n. 63.

Il sostrato logico di dette disposizioni, che specificamente disconoscono consistenza anche solo indiziaria a dicerie di fonte non controllata e non controllabile (particolarmente significativo sul punto è il primo comma bis del citato art. 267, sull’inidoneità di quella fonte ad integrare gravi indizi al fine dell’autorizzazione di intercettazioni), non può essere colto in peculiarità esclusive del processo penale, pur considerandosi lo spessore degli interessi da esso coinvolti, ma va ricondotto a criteri generali dell’ordinamento, anche perché, quantomeno con riferimento alla perquisizione domiciliare, il bene protetto è sempre l’inviolabilità del domicilio (all’infuori dei casi espressamente previsti).

Irrinunciabili ragioni di coerenza del sistema richiedono l’operatività di analoghe regole nel processo civile, quando l’esigenza di ricerca della prova, ancorché correlata a finalità di tipo pubblicistico (quali quelle coinvolte dall’accertamento di debiti d’imposta), debba essere contemperata e conciliata con la protezione di un bene di rilevanza costituzionale.

Con riguardo infine agli effetti dell’illegittimità del provvedimento di autorizzazione dell’accesso domiciliare, se adottato senza alcuna motivazione, ovvero con una motivazione giuridicamente erronea (come quella che qualifichi indizio la denuncia anonima), si rileva che la soluzione sopra anticipata, nel senso dell’inutilizzabilità a sostegno dell’accertamento tributario delle prove reperite mediante la perquisizione, trova sostanzialmente concorde la giurisprudenza di questa Corte (anche la menzionata sentenza n. 1344 del 2002 dà atto che l’eventuale illegittimità dell’accesso, esclusa nel caso da essa esaminato, non avrebbe permesso l’uso contro il contribuente dei documenti reperiti presso l’abitazione), e va qui ribadita, osservandosi:

  • che detta inutilizzabilità non abbisogna di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola;
  • che il compito del giudice di vagliare le prove offerte in causa è circoscritto a quelle di cui abbia preventivamente riscontrato la rituale assunzione;
  • che l’acquisizione di un documento con violazione di legge non può rifluire a vantaggio del detentore, che sia l’autore di tale violazione, o ne sia comunque direttamente od indirettamente responsabile.” (sentenza n. 16424 del 21 novembre 2002).

 

DURATA DELLE VERIFICHE

In tema di durata delle verifiche, l’art. 12, quinto comma, della Legge n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente) testualmente dispone:

“5. La permanenza degli operatori civili o militari dell’amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell’ufficio, per specifiche ragioni. Il periodo di permanenza presso la sede del contribuente di cui al primo periodo, così come l’eventuale proroga ivi prevista, non può essere superiore a quindici giorni lavorativi contenuti nell’arco di non più di un trimestre, in tutti i casi in cui la verifica sia svolta presso la sede di imprese in contabilità semplificata e lavoratori autonomi. In entrambi i casi, ai fini del computo dei giorni lavorativi, devono essere considerati i giorni di effettiva presenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente.”

Sull’argomento, la Corte di Cassazione ha stabilito i seguenti principi:

  • Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, in tema di verifiche tributarie, il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso. E neppure la nullità di tali atti potrebbe ricavarsi dalla “ratio” delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell’Amministrazione (cfr. Cass. 14020/2011; 19338/2011; 17002/2012; 26732/2013)” ( sentenza n. 26829/2014).

 

  • In tema di verifiche tributarie, la violazione del termine di permanenza degli operatori dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente, previsto dalla Legge 27 luglio 2000, n. 212, articolo 12, comma 5, non determina la sopravvenuta carenza del potere di accertamento ispettivo, ne’ l’invalidità degli atti compiuti o l’inutilizzabilità delle prove raccolte, atteso che nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal legislatore”. E ciò perché, come è stato chiarito nell’occasione, con giudizio a cui il collegio intende dare continuità, raffrontando la disposizione in esame con quella recata dal successivo comma 7 – la cui violazione, com’e’ noto, comporta la invalidità dell’atto impositivo emanato ante tempus, essendo il termine ivi previsto posto a garanzia del contraddittorio procedimentale (UU. 18184/13) – non può, infatti, istituirsi una diretta corrispondenza tra le fattispecie contemplate dalle dette disposizioni, oltre che in considerazione del diverso oggetto disciplinato (comportamento materiale dei funzionali pubblici nel caso del comma 5; provvedimento tributario nel caso del comma 7) – onde è improprio riguardo al primo invocare le categorie della invalidità degli atti e dei negozi giuridici – in ragione della diversa rilevanza degli interessi sostanziali considerati (interesse negativo del soggetto alla presenza di soggetti estranei nei locali in cui si svolge l’attività economica nel primo caso; corretta formazione del rapporto tributario nel secondo), circostanza alla luce della quale si giustifica razionalmente la scelta del legislatore di non ricollegare alla violazione del termine della permanenza nei locali la sanzione di invalidità dell’atto impositivo, non incidendo la violazione della durata della verifica su diritti costituzionalmente tutelati riferibili al contribuente.” (Cass. sentenza n. 966/2016).

 

  • “La questione è stata già affrontata da questa Corte, con orientamento cui il Collegio intende dare continuità, non ravvisandosi, negli atti versati in giudizio, ragioni per discostarsene. La violazione della L. n. 212 del 2000, articolo 12, comma 5 – il quale, nella versione vigente all’epoca dei fatti, così recita: La permanenza degli operatori (…), dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell’ufficio, per specifiche ragioni” – non comporta la nullità dell’accertamento, ne’ l’inutilizzabilità dei dati acquisiti – trattandosi di effetti non previsti dall’ordinamento (in termini, Cass. civ., sez. trib., 15-04-2015, n. 75841, secondo cui “il protrarsi della presenza dei verificatori nella sede del contribuente oltre i termini previsti dallo statuto del contribuente, L. n. 212 del 2000, articolo 12, comma 5, non preclude, in assenza di una specifica norma sanzionatoria, l’utilizzo degli elementi acquisiti oltre la scadenza dei predetti termini e per l’effetto non determina l’invalidità del conseguente avviso di accertamento”. Questa Corte ha altresì rilevato che la L. n. 212 del 2000, articolo 12, comma 5, si riferisce ai soli giorni di effettiva attività lavorativa svolta dagli operatori del fisco presso la sede del contribuente, escludendo, quindi, dal computo quei giorni impiegati per verifiche ed attività eseguite in altri luoghi (Cass. civ., sez. trib., 21-05-2014, n. 11183), sicche’ non si può fare riferimento al decorso naturale del tempo, per cinque giorni lavorativi ogni settimana, ma guardare alle giornate di effettiva presenza in sede.” (Cass. sentenza n. 2387/2019).

 ART. 7 – QUINQUIES DELLA BOZZA DEL DECRETO LEGISLATIVO DI MODIFICAZIONI ALLO STATUTO DEI DIRITTI DEL CONTRIBUENTE DEL 23 OTTOBRE 2023 (VIZI DELL’ATTIVITÀ ISTRUTTORIA)

L’art. 7 – quinquies della bozza del decreto legislativo di modificazioni allo Statuto dei diritti del contribuente del 23 ottobre 2023 (vizi dell’attività istruttoria) testualmente dispone:

“ 1. Non sono utilizzabili ai fini dell’accertamento amministrativo o giudiziale del tributo gli elementi di prova acquisiti oltre i termini di cui all’articolo 12, comma 5, o in violazione di libertà costituzionalmente riconosciute.”

Quindi, non sono utilizzabili gli elementi di prova:

  • acquisiti oltre i termini di cui al citato art. 12, quinto comma (si rinvia alla lettera D);
  • oppure acquisiti in violazione di libertà costituzionalmente riconosciute, come peraltro stabilito più volte dalla Corte di Cassazione in base al seguente principio:

“la giurisprudenza di questa Corte è orientata a mantenere una netta differenziazione fra processo penale e processo tributario, secondo un principio – sancito non soltanto dalle norme sui reati tributari (Decreto Legge 10 luglio 1982, n. 429, articolo 12, successivamente confermato dal Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 20) ma altresì desumibile dalle disposizioni generali dettate dagli articoli 2 e 654 c.p.p., ed espressamente previsto dall’articolo 220 disp. att. c.p.p., che impone l’obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura penale, quando nel corso di attività ispettive emergano indizi di reato, ma soltanto ai fini della “applicazione della legge penale” (Cass. nn. 22984, 22985 e 22986 del 2010; Cass. n. 13121/2012, Cass. n. 8605/2015). Si riconosce quindi, generalmente, che “…non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale comporta, di per se’, la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso ed esclusi, ovviamente, i casi in cui viene in discussione la tutela dei diritti fondamentali di rango costituzionale, quali l’inviolabilità della libertà personale, del domicilio, che qui non vengono in rilievo (Cass. n. 24923/2011, Cass. n. 31779/2019 e Cass. n. 8459/2020).” (Cass. ordinanza n. 11758/2023).

 

DOCUMENTAZIONE

l’art. 8 della bozza del decreto legislativo di modificazioni allo Statuto dei diritti del contribuente del 23 ottobre 2023 ha modificato il quinto e sesto comma dell’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente nel modo seguente:

“5. L’obbligo di conservazione di atti e documenti, incluse le scritture contabili, stabilito a soli effetti tributari, non può eccedere il termine di dieci anni dalla loro emanazione o dalla loro formazione o utilizzazione. Il decorso del termine preclude definitivamente la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di fondare pretese su tale documentazione.

  1. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono emanate le disposizioni di attuazione del presente articolo.”

 

COMPONENTI AD EFFICACIA PLURIENNALE

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 8500/2021, ha stabilito il seguente principio di diritto:

“nel caso di contestazione di un componente di reddito ad efficacia pluriennale per ragioni diverse dall’errato computo del singolo rateo dedotto e concernenti invece il fatto generatore ed il presupposto costitutivo di esso, la decadenza dell’amministrazione finanziaria dalla potestà di accertamento va riguardata, Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex articolo 43, in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione nella quale il singolo rateo di suddivisione del componente pluriennale e’ indicato, non già in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione concernente il periodo di imposta nel quale quel componente sia maturato o iscritto per la prima volta in bilancio”.

Con la bozza del decreto legislativo citato è stato aggiunto all’art. 2, dopo il comma 4, della Legge n. 212/2000 il comma 4-bis che testualmente dispone:

“4-bis. Le norme tributarie impositive che recano la disciplina del presupposto tributario e dei soggetti passivi si applicano esclusivamente ai casi e ai tempi in esse considerati.”

Di conseguenza, dall’entrata in vigore della suddetta disposizione, probabilmente l’01/01/2024, non sarà più applicabile il succitato principio della Corte di Cassazione a Sezioni Unite.

Secondo me, la suddetta disposizione dovrà essere qualificata come norma di interpretazione autentica, efficace, in quanto tale, anche rispetto agli accertamenti già notificati ed ai rapporti pendenti in relazione ai quali la decadenza è in contestazione in giudizio.

Pubblicato da:

Maurizio Villani

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