La notifica degli atti tributari: Le ultime precisazioni della Corte di Cassazione

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Ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, del 15 settembre 2023 n. 26660

(a cura di Maurizio Villani e Ludovica Loprieno)

 

Il procedimento di notificazione degli atti tributari, siano essi relativi alla fase dell’accertamento o a quella della riscossione, costituisce un’attività essenziale, mediante la quale l’Amministrazione Finanziaria rende edotto il contribuente destinatario della pretesa impositiva, mettendolo in grado di adempiere alla pretesa creditoria del Fisco oppure di esercitare il proprio diritto di difesa costituzionalmente garantito.

Nel diritto tributario la notificazione è, quindi, quel procedimento per mezzo del quale si porta nella sfera di percepibilità del destinatario una dichiarazione, ovvero un documento contenente una dichiarazione, quale può essere un atto di accertamento.

In particolare, la dottrina e la giurisprudenza sono unanimi nel considerare l’atto di accertamento un atto ricettizio, che produce i propri effetti solo quando viene portato a legale conoscenza del contribuente.

Già da questo primo inquadramento emergono in modo limpido i due elementi essenziali che connotano l’attività di notificazione degli atti tributari: la natura recettizia degli stessi e la necessità di raggiungere – quantomeno – una legale conoscenza da parte del destinatario.

La prima caratteristica indica il fatto che gli atti tributari si perfezionano esclusivamente se portati a conoscenza del destinatario attraverso la notificazione, la quale è l’unico strumento idoneo ad evitare che l’Amministrazione finanziaria incorra nella decadenza dall’esercizio del potere impositivo e in grado di far scattare il decorso del termine per proporre impugnazione.

La seconda, intimamente connessa alla prima, denota il fatto che il legislatore ‘si accontenta’ che le autorità fiscali garantiscano, con la notifica, un livello di conoscenza – legale, che non sempre coincide con quella effettiva, la quale risulta comunque quella auspicabile.

Se, guardando all’ordinamento giuridico nel suo complesso, la conoscenza legale raggiunta con la notificazione può definirsi come surrogato o come equipollente della conoscenza effettiva; risulta ben più problematico inquadrarla in questi termini relativamente alla notifica di atti tributari, i quali provengono da un’autorità pubblica e spiegano i propri effetti, di notevole gravità, sulla sfera patrimoniale del destinatario.

Tale circostanza ha portato il legislatore, soprattutto grazie alle spinte della giurisprudenza costituzionale, ad alzare sempre di più lo standard del livello di conoscenza dell’atto tributario notificato al contribuente tendendo verso una maggiore effettività, tanto che all’art. 6, comma 1, della Legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente), viene espressamente stabilito che l’Amministrazione finanziaria deve assicurare l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati. Principio, tuttavia, solo apparentemente granitico, posto che poco dopo subisce un significativo temperamento consistente nel fatto che «restano ferme le disposizioni in materia di notifica degli atti tributari», le quali ricomprendono, tra le altre, anche quelle processual-civilistiche di cui agli artt. 137 ss. c.p.c.

È in questo contesto  di contemperamento tra l’esigenza di innalzamento della tutela del contribuente e la tutela delle ragioni creditorie dell’Erario, che va inserita la recente pronuncia indicata in epigrafe, con la quale la Corte di Cassazione – Sezione Tributaria, con l’ordinanza del 15 settembre 2023 n. 26660, ha chiarito che in tema di notifica di un atto impositivo ovvero processuale tramite il  servizio postale, qualora l’atto notificando non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo, ovvero per sua temporanea assenza, ovvero per assenza o inidoneità di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio può essere data dal notificante – in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata (artt. 24 e 111, secondo comma, della Costituzione) dell’art. 8 della Legge 20 novembre 1982, n. 890 – esclusivamente attraverso la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito (c.d. C.A.D.), non essendo a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della suddetta raccomandata informativa.

La questione al vaglio dei giudici della legittimità trae l’abbrivo dall’impugnazione della sentenza dell’allora Commissione Tributaria Regionale della Campania, la quale aveva rigettato l’appello proposto dal contribuente contro la sentenza  dell’allora Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, la quale, a sua volta, aveva respinto il ricorso del contribuente, assumendo che doveva ritenersi provata la notifica dell’avviso di accertamento posto a base della cartella impugnata, essendo sufficiente, ai sensi dell’art. 8 della Legge n. 890/1982, in caso di assenza di persone abilitate a ricevere l’atto, che fosse provata la sola spedizione della raccomandata informativa (c.d. C.A.D.) non essendo necessario, ai fini della suddetta prova, anche il deposito del relativo avviso di ricevimento.

Secondo i Giudici di appello, dunque, ai sensi dell’art. 8 della legge 20 novembre 1982, n. 890, sarebbe sufficiente, ai fini della compiuta prova di detta modalità di notifica dell’atto, la dimostrazione della sola spedizione di tale atto, senza necessità di acquisire il relativo avviso di ricevimento.

Tale conclusione, però, non viene accolta dai giudici della Corte di Cassazione, che con la pronuncia in commento hanno aderito all’orientamento già espresso dalle Sezioni Unite (Cass., Sez. U. civ., 15 aprile 2021, n. 10012) sulla corretta interpretazione dell’art. 8 della Legge 890/1982.

Con la pronuncia in esame, infatti, la Suprema Corte ha ribadito che in tema di notifica di un atto impositivo ovvero processuale tramite servizio postale, qualora l’atto notificando non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo, ovvero per sua temporanea assenza, ovvero per assenza o inidoneità di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio può essere data dal notificante – in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata ( e quindi rispettosa, segnatamente, degli artt. 24 e 111, secondo comma, Cost.) dell’art. 8 della Legge del 20 novembre 1982, n. 890esclusivamente attraverso la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito (c.d. C.A.D.), non essendo a tal fine sufficiente la sola prova dell’avvenuta spedizione della suddetta raccomandata informativa.

La ratio del citato arresto giurisprudenziale, fatto proprio nella pronuncia in esame, è da ravvisare nella circostanza che le due fattispecie di notifica in caso di irreperibilità relativa del destinatario, ossia quella di cui all’art. 140 del cod. proc. civ. e quella eseguita tramite servizio postale, presentano un «pendant logico-giuridico» ed un’«evidente analogia», talchè, in una prospettiva di comparazione anche costituzionale, la consolidata soluzione, in materia di necessaria produzione dell’avviso di ricevimento, già adottata dalla Corte di Cassazione in relazione alla notifica eseguita ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ. debba essere estesa anche alle ipotesi di notifica eseguita tramite servizio postale.

In sintesi, dunque, solo la raccomandata informativa C.A.D. fornisce la prova indefettibile del perfezionamento della notifica postale, ragione per cui, per dimostrare il perfezionamento della procedura di notificazione a mezzo del servizio postale e contemporanea irreperibilità relativa del contribuente, il notificante non solo deve produrre il primo avviso di ricevimento con le relative attestazioni ma deve anche depositare l’avviso di ricevimento della raccomandata informativa (c.d. CAD).

E’ solo in questa procedura rafforzata di perfezionamento della notificazione postale che è possibile ravvisare  il punto di equilibrio tra le esigenze del notificante e quelle del notificatario, peraltro trattandosi di un onere probatorio processuale tutt’affatto vessatorio e problematico, consistendo nel deposito di un atto facilmente acquisibile da parte del soggetto attivo del sub-procedimento.

La conclusione cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione, invero, è del tutto condivisibile, nonché conforme  ad altro orientamento già consolidato nella giurisprudenza della stessa Corte, che ritiene che nel caso di notifica, anche di atti impositivi tributari, da parte dell’ufficiale giudiziario ai sensi dell’art. 140 c.p.c., anche in questo procedimento notificatorio è richiesto che la prova del perfezionamento  della notificazione debba essere fornita mediante la produzione giudiziale dell’avviso di ricevimento della “raccomandata informativa C.A.D.”.

In particolare, l’interpretazione da ultimo accolta dalla Corte di Cassazione sembra del tutto rispettosa, su un piano più generale, dell’art. 6, comma 1, dello Statuto del Contribuente (Legge n. 212/2000), secondo cui “L’amministrazione finanziaria deve assicurare l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati“.

Riassumendo, sia nella notifica codicistica attuata dall’ufficiale giudiziario con il concorso dell’agente postale, che in quella postale attuata solo dall’agente postale, non può che ravvisarsi un’unica ratio legis che è quella – profondamente fondata sui principi costituzionali di azione e difesa (art. 24, Cost.) e di parità delle parti del processo (art. 111 Cost., comma 2) – di dare al notificatario una ragionevole possibilità di conoscenza della pendenza della notifica di un atto impositivo.

In ambedue le fattispecie, pertanto, la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio può essere data dal notificante esclusivamente attraverso la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la C.A.D., non essendo a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della suddetta raccomandata informativa.

Pubblicato da:

Maurizio Villani

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