La nullità dei mutui a rata costante con il c.d. ammortamento alla francese alla luce della sentenza delle Sezioni Unite 15130/2024

Tempo di lettura stimato: 17 minuti

Indice

– La massima, l’ammortamento alla francese, le delimitazioni e le esclusioni nell’impostazione della Sentenza.

– Il primo quesito

– Il secondo quesito

– Conclusioni

***

1) La massima, l’ammortamento alla francese, le delimitazioni e le esclusioni nell’impostazione della Sentenza.

La recentissima decisione della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n.15130/2024 del 29 maggio 2024 affronta il contrasto di giurisprudenza che si è creato in punto di diritto circa i contenuti del c.d. piano di ammortamento alla francese, in particolare nei contratti bancari di mutuo.

La domanda che sorge spontanea, pure in considerazione dei numerosi dibattiti in corso, è se sia veramente una decisione storica che mette la parola fine sulla questione e sugli innumerevoli contenziosi che continuano ad avere origine da questo metodi di contabilizzare gli interessi nei contratti di mutuo.

La miglior risposta da offrire a questo quesito allo stato attuale mi pare possa essere: solo in parte ma verosimilmente no.

Prima però di spiegarne il motivo è utile procedere per gradi e anzitutto pare opportuno riprodurre fin da subito la già nota massima conclusiva cui sono pervenute le Sezioni Unite:

“In tema di mutuo bancario, a tasso fisso, con rimborso rateale del prestito regolato da un piano di ammortamento “alla francese” di tipo standardizzato tradizionale, non è causa di nullità parziale del contratto la mancata indicazione della modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione “composto” degli interessi debitori, per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto del contratto né per violazione della normativa in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti tra gli istituti di credito e i clienti”.

Dopodiché, nel solco della spiegazione offerta dalla Suprema Corte che come usuale ci ha donato una preziosa dissertazione su numerosi istituti del diritto ritengo d’obbligo spiegare anzitutto in cosa consiste il sistema di ammortamento alla francese a rata costante.

Quest’ultimo per dirlo con le parole stesse del Supremo Collegio: “è caratterizzato dal fatto che il rimborso del capitale e degli interessi avviene secondo un piano che prevede il pagamento del debito a “rate costanti” comprensive di una quota capitale (crescente) e di una quota interessi (decrescente). Il mutuatario si obbliga a pagare rate di importo sempre identico composte dagli interessi, calcolati sin da subito sull’intero capitale erogato e via via sul capitale residuo, e da frazioni di capitale quantificate in misura pari alla differenza tra l’importo concordato della rata costante e l’ammontare della quota interessi. I matematici finanziari hanno chiarito che il piano di ammortamento in questione si sviluppa a partire dal calcolo della quota interessi e deducendo per differenza la quota capitale e non viceversa Il rimborso delle frazioni di capitale conglobate nella rata in scadenza produce l’abbattimento del capitale (debito) residuo e la riduzione del montante sul quale sono calcolati gli interessi (maturati nell’anno), determinando così la progressiva diminuzione della quota (della rata successiva) ascrivibile agli interessi e il corrispondente aumento della quota ascrivibile a capitale e così via”.

Una spiegazione senza alcun dubbio sintetica quella proposta dai Giudici che fanno riferimento al noto documento di Banca d’Italia del 29 luglio 2009 denominato “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari” però ad avviso dello scrivente in questa sintesi c’è anche salomonica saggezza perché a ben guardare questa diatriba si è arricchita negli ultimi anni di un tasso di tecnicismi a tratti non solo poco persuasivi ma anche fastidiosamente difficili per i Giudici stessi da prendere in considerazione.

Chi affronta con regolarità il diritto bancario avrà probabilmente notato il profluvio di consulenze tecniche sempre più elaborate che provocano quale effetto, a mio avviso anche controproducente, una distanza siderale rispetto al diritto. Mi piace spesso affermare che il diritto bancario significa fare in modo perfetto le cose semplici. Questa è struttura. Le care vecchie fondamenta. Oggi invece si fa in molte occasioni uso di elucubrazioni più elaborate che dirimenti. A volte portatrici di sofisticazioni arricchite da una serie di terminologie che lavorano come i grandi poeti del passato con metafore e allegorie, tracciando un universo parallelo di matematica finanziaria prendendo a prestito la contabilità, l’euristica e la compositoria. Il tutto si risolve in atti sterminati, di una lunghezza atrocizzante con continui rimandi e deduzioni tecniche che per quanto utili possono non essere determinanti secondo la vecchia e romantica scienza del diritto.

Ciò considerato, la Corte nella lettura di un apprezzabile e ben dotta esposizione che peraltro è come sempre ottimamente organizzata in termini discorsivi, circoscrive il contratto di mutuo sottoposto alla sua attenzione nel caso in esame: “Un piano di rimborso come quello controverso nel giudizio di merito contiene, come s’è detto, in modo dettagliato, la chiara e inequivoca indicazione dell’importo erogato, della durata del prestito, del tasso di interesse nominale (TAN) ed effettivo (TAEG), della periodicità (numero e composizione) delle rate di rimborso con la loro ripartizione per quote di capitale e di interessi. Ciò è conforme alle menzionate disposizioni della Banca d’Italia del 29 luglio 2009 che impongono agli istituti di credito di fornire l’informativa precontrattuale ai clienti mediante riepilogo puntuale delle somme dovute alle varie scadenze tramite un piano redatto in modo chiaro e comprensibile che indichi la periodicità e composizione delle rate, precisando se si prevede il rimborso periodico del solo capitale, dei soli interessi o di entrambi, anziché mediante ricorso a formule lessicali o a espressioni matematiche che vorrebbero spiegare le modalità di calcolo degli interessi ma la cui esigenza di precisione si scontra con un livello di tecnicismo che sfugge alla comprensione dei più (l’allegato 4E delle suddette “disposizioni” contiene il “Prospetto Informativo Europeo Standardizzato” con una tabella di ammortamento che indica, appunto, le rate da corrispondere, la loro frequenza e composizione per interessi e capitale rimborsato e le spese)”.

Si noti che questa ricercata definizione peraltro rinvenibile al paragrafo 16 quasi in prossimità delle conclusioni è interessante perché se da un lato identifica inevitabilmente per converso esclude laddove circoscrive la fattispecie.

Giova sottolineare che la Cassazione sembra voler mettere ordine sull’argomento anche quando traccia la ragione del quesito di rimando (ricordiamo che la questione nasce da un rinvio pregiudiziale) e dopo aver riproposto il noto contrasto di giurisprudenza (e dottrina) in punto di diritto, ha cura di precisare: “In sintesi, le questioni di diritto formulate dal giudice rimettente sono le seguenti: se, in presenza di un mutuo a tasso fisso con piano di ammortamento c.d. “alla francese” allegato al contratto (nella specie, interamente onorato dalla debitrice e concluso), il contratto debba contenere, a pena di nullità, anche l’esplicitazione del regime di ammortamento, cioè delle modalità di rimborso del prestito (mediante rate fisse costanti comprensive di quote capitali crescenti e di quote interessi decrescenti nel tempo) e della eventuale maggiore onerosità del suddetto piano rispetto ad altri piani di ammortamento; se, in mancanza di detta indicazione, il contratto sia affetto da nullità parziale per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto del contratto (art. 1346c.c.) e/o per violazione della trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti tra banca e clienti (art. 117 tub); quali siano le eventuali conseguenze di una simile nullità”.

Mentre al paragrafo 8 i Giudici paiono delimitare il giudizio introducendo tutto ciò che non vi rientra: “Si premette che queste Sezioni Unite non sono chiamate a pronunciarsi con riferimento ai piani di ammortamento relativi ai contratti di mutuo a tasso variabile né sul tema, introdotto dalla difesa Po.Ga. nella memoria, dell’anticipata estinzione del rapporto di mutuo per scelta volontaria del mutuatario, che è estraneo ai quesiti pregiudiziali e alla materia del contendere, risultando astratto in quanto privo di rilevanza ai fini della definizione del giudizio di merito; neppure sono chiamate a pronunciarsi sul tema relativo alle eventuali conseguenze della mancata allegazione o inserzione del piano di ammortamento nel contratto”.

Come pure, un altra delimitazione si legge poco oltre al paragrafo 12: “Nell’ordinanza si precisa ancora che “non si controverte in questo giudizio di violazione del divieto di anatocismo” che “non viene qui in gioco”

Pertanto, sembra utile perlomeno sottolineare che la Corte ha escluso una rilevante casistica dalla sua decisione.

Mi sento in obbligo di osservare che non pochi interpreti dopo la pubblicazione di questa importante decisione hanno immediatamente utilizzato frasi auliche da finale cinematografico e con affermazioni non prive di enfasi si sono prodotti (anche con interessanti citazioni dal latino) in una sorta di “il dado è tratto”. Potrebbe forse essersi verificato quello che ultimamente accade spesso nella comunicazione via internet e cioè si rende nota solo la massima in fretta per via del fatto che c’è una corsa a chi prima pubblica nella convinzione che saranno i primi commentatori ad essere cercati o addirittura intervistati.

Esperienza suggerisce che le sentenze si leggano tutte! E con grande attenzione, motivo per cui si dovrebbero addirittura studiare.

C’è questa convinzione nel diritto bancario e degli investimenti che spesso porta a diverso titolo associazioni o simili a cercare il filone vincente, cioè quella serie di atti fotocopia che, forti di una decisione aprano a una serie di contenziosi contro le Banche che in linea teorica dovrebbero fare tutti felici: dai Clienti a coloro che patrocinano queste cause. Questa prassi, alimentata negli ultimi anni da alcune tipologie di controversie bancarie è una sorta di affarismo che ruota attorno al mercato delle controversie in particolare segnando la differenza tra chi questa materia l’ha fatta per tutta la vita lavorativa (con pregio o meno) e chi invece all’occorrenza ci si tuffa nella speranza di fatturare.

Le Banche lo hanno capito. Hanno cioè ben inteso che non devono davvero temere tutte le controversie e per effetto, meno che meno, tutte le lamentele. Assistiamo infatti a una curiosa disparità di trattamento che si verifica con una discreta costanza che sembra guardare meno all’oggetto e più a coloro che patrocinano una determinata posizione. Se cioè si tratta di una firma ormai nota agli Istituti di credito perché magari giudicata esperta o quantomeno per via del fatto che trattasi di Avvocato che ha ottenuto risultati apprezzabili rispetto a quelle controversie, magari più arrembanti, che arrivano sull’onda dell’entusiasmo. Si nota a tal proposito che in alcuni casi il Professionista già noto forse non a caso riesce a chiudere anche già nello stragiudiziale le posizioni, rispetto ad altre che finiscono nel contenzioso. Questa non sarebbe una novità: il sistema bancario ha sempre agito in modo corporativo e ben conoscendo l’arte di depotenziare il contenzioso eliminando quegli avversari noti per essere più problematici. Razionalità contro emotività. Bruttissimo scenario per i Clienti.

Se c’è una cosa curiosa è che negli ultimi anni i risparmiatori portatori del medesimo diritto hanno subito sorti molto diverse tra loro, non solo a seconda dell’Istituto di credito coinvolto (sicuramente ce ne sono alcuni che hanno uffici legali meno preparati e sono più belligeranti perché applicano la dissuasione più che la ragionevolezza) ma forse anche in ragione dell’essere stati malconsigliati e magari pure di atti il cui contenuto non ha davvero impensierito le controparti bancarie.

Motivo in più per cui occorre fare informazione in modo corretto.

Orbene, ad un’attenta lettura del caso in esame la Suprema Corte sembra anche voler depotenziare il contenuto del rinvio pregiudiziale che ha portato a questa decisione facendo il punto su alcune delle dissertazioni della parte attrice che lamenta il danno subito dal Cliente, laddove la Corte non si esime dal dover rilevare per esempio che: “tale impostazione non collima del tutto con quella della difesa Po.Ga. che nella memoria ha affermato che è possibile anche “il calcolo dell’ammortamento alla francese con capitalizzazione semplice”, ciò innescando una questione fattuale implicante l’accertamento – che non compete a questa Corte -della tipologia di capitalizzazione applicata in concreto nel contratto di mutuo stipulato tra le parti”.

E ancora successivamente: “Le affermazioni della parte attrice in memoria (pag. 12 e 13) – secondo cui “il capitale viene trattenuto dal finanziato in misura quantitativamente maggiore di quanto avverrebbe rispetto ad un piano che preveda un proporzionale versamento di capitale e interessi” e “per di più la imputazione dei versamenti da parte del mutuatario a capitale o a interessi avviene in modo non proporzionale” – ugualmente non spiegano dove e in che modo si anniderebbe la produzione di interessi su interessi”.

Con ciò dovendo poi la Corte fare buon uso di una precisazione appartenente ad un orientamento ormai consolidato tale per cui: “non può ritenersi sufficientemente specifica la censura sollevata denunciando soltanto, e del tutto astrattamente, la pretesa realizzazione, mediante l’utilizzo del sistema di ammortamento cd. “alla francese”, di un risultato anatocistico, senza che tale asserzione sia accompagnata da specifiche deduzioni ed argomentazioni volte a dimostrare l’avvenuta concreta produzione, nella specie, di un tale risultato”.

E facendolo, successivamente riporta anche (giustamente) le osservazioni della Procura Generale che fra l’altro ha avuto modo di spiegare: “Il metodo alla francese è, piuttosto, costruito in modo tale che ad ogni rata il debito per interessi si estingue a condizione ovviamente che il pagamento sia avvenuto nel termine prestabilito. È, perciò, anche solo astrattamente inipotizzabile che siffatto ammortamento sia fondato su un meccanismo che trasforma l’obbligazione per interessi. in base di calcolo di successivi ulteriori interessi”.

La Corte sceglie inoltre di soffermarsi sulla terminologia dell’aggettivo “composto” che di per se non implica la generazione di interessi sugli interessi (la quale sarebbe in ogni caso vietata) laddove riporta fra l’altro: “la capitalizzazione composta è quindi, nel caso di specie, del tutto eterogenea rispetto all’anatocismo ed è solo un modo per calcolare la somma dovuta da una parte all’altra in esecuzione del contratto concluso tra loro; è, in altre parole, una forma di quantificazione di una prestazione o una modalità di espressione del tasso di interesse applicabile a un capitale dato” (Cass. n. 27823/2023 in materia fiscale)”

Tutto ciò pur se sinteticamente evidenziato mi porta a ribadire come vi siano numerose ricercate criticità che circoscrivono la decisione al caso in concreto, il quale è caratterizzato da una molteplicità di elementi e non si presta necessariamente a valere come precedente sempre e comunque per qualunque caso analogo.

2) Il primo quesito

Venendo ora al primo dei due quesiti cui la Corte è chiamata a dare risposta e cioè se l’omessa indicazione del regime di capitalizzazione “composto” degli interessi e della modalità di ammortamento “alla francese” comporti la indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto e, di conseguenza, la nullità (parziale) del contratto di mutuo bancario, ai sensi degli artt. 1346 e 1418, comma 2, c.c. la risposta della Corte al par. 15 è: “Alla suddetta questione è agevole rispondere in senso negativo quando il contratto di mutuo contenga le indicazioni proprie del tipo legale (art. 1813 ss. c.c.), cioè la chiara e inequivoca indicazione dell’importo erogato, della durata del prestito, della periodicità del rimborso e del tasso di interesse predeterminato.

Però la Corte esaminando le difese presentate dalla parte Attrice rileva pure che: “Tali considerazioni orientano l’interpretazione del quesito pregiudiziale nel senso che l’indeterminatezza dell’oggetto del contratto è dedotta come effetto della sua opacità o scarsa trasparenza per la presenza di un costo o “prezzo” occulto che avrebbe dovuto essere indicato nel contratto, ex art. 117, comma 4, T.u.b.” E questa può essere letta come una scelta che non tutti gli interpreti del diritto potrebbero voler compiere nel censurare questo aspetto del mutuo c.d. alla francese.

Quindi per completezza i Giudici spostano l’esame del primo quesito su altri aspetti che si evincono dalla costruzione della strategia difensiva e rispondono che comunque questa impostazione non è condivisibile alla luce di plurime argomentazioni fra le quali la Corte, alla lettera a) del par. 15): La doglianza concernente la mancata esplicitazione nel contratto del maggior costo del prestito come effetto del sistema “composto” di capitalizzazione degli interessi non evidenzia un problema di determinatezza o indeterminatezza dell’oggetto del contratto ma, in ipotesi, di eventuale mancanza di un elemento tipizzante del contratto, previsto dall’art. 117, comma 4, T.u.b. (“I contratti indicano il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizioni praticati”), che darebbe luogo, semmai, a nullità testuale per la mancata indicazione di un “prezzo” o costo aggiuntivo del prestito e all’applicazione del tasso sostitutivo (comma 7)”.

Una possibile chiave di lettura (e la sottolineatura dello scrivente vorrebbe metterlo in evidenza) è che la Corte, partendo dalla “doglianza” quindi dalle lamentate criticità argomentate dalla difesa come successivamente giunte all’attenzione dei Giudici, non evidenzia il problema in questione in maniera tale da poterlo far ricadere nell’alea di attivazione dell’articolo citato.

In ogni caso la sensazione è che anche in questa circostanza la Corte circoscrive assai attentamente il metro valutativo e a ben guardare non preclude a ipotesi diverse.

Dalla lettura operata fino a questo punto non sarebbe del tutto errato ipotizzare che si tratta di una decisione tarata sul tipo (non tipologia) di contratto di mutuo e sulle argomentazioni sollevate nel caso in concreto. Non vuol dire che tutti i contratti della medesima specie seguano la stessa sorte; ben potendo esserci contratti ad esempio redatti in modo diverso e fermo restando tutte le esclusioni che la Corte stessa ha voluto mettere in rilievo. Come pure che potrebbero esserci contratti analoghi per redazione ma oggetto di diverse argomentazioni difensive e censure che potrebbero evidenziare limiti e difetti strutturali, se non addirittura criticità, tali da consentire un diverso tipo di conclusioni. Giacché, in parte in ragione delle considerazioni svolte, non sarebbe possibile includerli nella massima decisionale di questo pronunciamento.

2) Il secondo quesito

Venendo quindi al secondo punto, che completa il rinvio pregiudiziale e risponde alla seconda domanda che è stata rimessa al vaglio del Supremo Collegio leggiamo che: “Venendo al secondo profilo del quesito pregiudiziale, riguardante l’eventuale incidenza di tale mancanza sulla trasparenza delle condizioni contrattuali (Titolo VI del T.u.b.), il Tribunale rimettente chiede di verificare se la maggior quota di interessi complessamente dovuti in presenza di ammortamento “alla francese” rispetto a quello “all’italiana” costituisca un prezzo ulteriore e occulto che rende il tasso d’interesse effettivo maggiore di quello nominale (TAN) e del TAEG dichiarati nel contratto, di cui il cliente dovrebbe essere informato, con conseguente nullità parziale della relativa clausola contrattuale per violazione dell’art. 117, comma 4, T.u.b.”

E anche in questo caso il metro espositivo introduce subito una esclusione prima di rispondere al quesito: “prescindendo dal caso in cui l’istituto di credito abbia espressamente pubblicizzato la concessione di finanziamenti con piani di ammortamento diversi da quello praticato (art. 117, comma 6, ultima parte, T.u.b.), che è evenienza non ricorrente della specie, la verifica è negativa”.

Successivamente i Giudici con apprezzatissimo stile e ottimo eloquio scritto danno buon conto a quanto già espresso (in adesione) dalla Procura Generale che conferma la risposta negativa. Tuttavia la Corte vuole essere esaustiva infatti precisa anche che relativamente alla risposta negativa: Indicazioni in senso diverso non provengono dalla normativa primaria e secondaria vigenti ratione temporis (all’epoca di stipulazione del contratto nel 2007) e successivamente”.

Pertanto, con riguardo al contenuto dell’art. 117 tub: “non richiedeva e non richiede tuttora (a fortiori a pena di nullità) l’esplicitazione del regime di ammortamento nel contratto e analogamente, a livello sistematico, non la richiede la normativa più recente: in tema di “credito immobiliare ai consumatori” (art. 120-quinquies ss. e, in particolare, 120-novies T.u.b., in attuazione, con D.Lgs. n. 72 del 2016, della Direttiva 2014/17/UE) e di “credito ai consumatori” (art. 121 ss. T.u.b., in attuazione, con D.Lgs. n. 141 del 2010, della Direttiva 2008/48/CE), la quale ultima prevede (sulla falsariga dell’art. 117, comma 4) l’indicazione nel contratto, a pena di nullità, degli “interessi e (di) tutti gli altri costi, incluse le commissioni, le imposte e le altre spese, a eccezione di quelle notarili…” (art. 125-bis, comma 6, in relazione all’art. 121, comma 1, lett. e, T.u.b.), voci tra le quali non potrebbe farsi rientrare il regime di ammortamento (sulla stessa linea è la Direttiva 2023/2225/UE in tema di “credito ai consumatori” che, all’art. 21, comma 2, prevede che “il creditore mette a disposizione del consumatore, senza spese e in qualsiasi momento dell’intera durata del contratto di credito, un estratto sotto forma di tabella di ammortamento (che) indica gli importi dovuti nonché i periodi e le condizioni di pagamento di tali importi (e) contiene inoltre la ripartizione di ciascun rimborso periodico specificando l’ammortamento del capitale, gli interessi calcolati sulla base del tasso debitore e, se del caso, gli eventuali costi aggiuntivi”)”.

Come pure e immediatamente dopo la Corte aggiunge: “Analogamente, la normativa secondaria non richiede l’indicazione del regime di ammortamento nel contratto. La delibera CICR 9 febbraio 2000 (in relazione all’art. 120, comma 2, T.u.b.), in tema di trasparenza contrattuale, non è utile alla tesi della difesa”. Si noti pure questa precisazione perché come già in precedenza la Corte non giudica utili e meno che meno persuasivi gli argomenti dedotti dalla parte Attrice contro la Banca.

A questo punto la Corte passa ad esaminare con una interessante completezza di metodo quasi come fosse una subroutine nell’informatica, l’aspetto inerente alla trasparenza informativa.

Ben conscio di come non sia possibile svolgere una dissertazione sul principio di consapevolezza acquisita dal cliente della Banca nelle vesti di risparmiatore, sul punto meritano di essere riportati solo alcuni passaggi chiarificatori del ragionamento seguito dalla Corte che identifica in parte la chiarezza dei contenuti nel contratto anche con la possibilità di effettuare termini di paragone da parte del Cliente. In buona sostanza cioè di poter scegliere, con le informazioni a disposizione, la soluzione più conveniente senza subire i pregiudizi lamentati dalla difesa di parte Attrice.

Leggiamo quindi che: “Tale possibilità di raffronto tra prodotti diversi è, in definitiva, lo scopo della trasparenza (una indicazione in tal senso, a livello sistematico, proviene dall’art. 124, comma 1, T.u.b. che, in tema di “credito ai consumatori”, prevede tra gli obblighi precontrattuali a carico del finanziatore o intermediario quello di dare al consumatore “le informazioni necessarie per consentire il confronto delle diverse offerte di credito sul mercato”; cfr. anche l’art. 120-novies, comma 2, T.u.b. in tema di “credito immobiliare ai consumatori”)”.

E successivamente: “Diversamente opinando, cioè ipotizzando in astratto che tra gli obblighi comportamentali dell’istituto di credito vi sia anche quello di esplicitare nel contratto il regime di ammortamento o la modalità di capitalizzazione degli interessi, ne potrebbero discendere, semmai, in caso di violazione, eventuali conseguenze sul piano della responsabilità dell’istituto di credito e non della validità del contratto (cfr. Cass. SU n. 26724/2007)”.

Tenendo pure conto della direttiva consumeristica europea la Corte giunge alla conclusione di: “escludere nella fattispecie in esame sia un deficit di chiarezza del piano di ammortamento in questione sia l’insorgenza di un significativo squilibrio dei diritti e obblighi tra le parti derivanti dal contratto”.

Naturalmente qui si parla di obblighi di condotta in parte diversi da quelli relativi agli investimenti e la Corte ne ha ben donde in quanto lo precisa laddove leggiamo fra l’altro: “a differenza di quanto accade, solo in parte, in altri settori nei quali gli obblighi informativi sono configurati in termini più stringenti, anche in considerazione dei profili di rischio che ivi si manifestano”.

Dopo aver precisato che la difesa dell’Attore relativamente alla giurisprudenza europea ha portato in consultazione precedenti a detta della Corte “riferibili a fattispecie non assimilabili a quella di cui è causa” il Supremo Collegio ribadisce il respingimento anche del secondo motivo dandone una lettura negativa e affermando che: “dovendosi escludere che la mancata indicazione nel contratto di mutuo bancario, a tasso fisso, della modalità di ammortamento c.d. “alla francese” e del regime di capitalizzazione “composto” degli interessi sia causa di nullità del contratto di mutuo per violazione della normativa in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti tra gli istituti di credito e i clienti”.

Infine, enuncia il principio in diritto che è stato riportato in apertura di questo articolo.

4) Conclusioni:

Seppure avendo svolto già alcune considerazioni durante lo svolgimento di questo articolo mi pare doveroso precisare che ad avviso dello scrivente il c.d. metodo di calcolo alla francese è colpevole come il peccato originale. Di fatto nel corso degli anni, pure in ragione di una lunga militanza in primarie associazioni di consumatori ho potuto toccare con mano la drammaticità degli effetti che questo metodo di calcolo ha riversato sulla clientela.

E’ mia convinzione che un ristrettissimo numero di Clienti, in percentuale davvero minima rispetto al totale abbia mai davvero capito il contenuto vero e proprio della rata costante perlomeno in termini di interessi. Più probabilmente la stessa è stata utilizzata come una sorta di pubblicità semplificata per trasmettere ai Clienti una sorta di tranquillità emotiva. Quasi tutti coloro che hanno compreso gli impegnativi effetti di questo metodo di conteggiare gli interessi lo hanno fatto strada facendo.

Il Popolo Italiano è stato atrocizzato e sottoposto a un ingiustificato patimento finanziario per generazioni che si sono sostanzialmente viste imporre, in un regime poco concorrenziale, la regola della rata costante nell’ammortamento alla francese. Ci sono Comuni di piccole e anche di medie dimensioni dove questo meccanismo ha letteralmente imperato. Incontrastato. E’ stato piazzato, in non pochi casi da bancari senza scrupoli più simili a venditori, praticamente a chiunque. Senza nessuna vera distinzione sulla reale capacità di rimborso. E senza una verosimile personificazione.

In una stragrande maggioranza delle odierne procedure di c.d. piano del consumatore, esdebitazione e liquidazione dell’indebitato di quanti, oberati dai debiti chiedono di tornare alla vita con la cancellazione degli stessi, nelle more degli atti che raccontano come tutte queste persone si sono indebitate leggiamo costantemente gli effetti distruttivi che l’ammortamento alla francese ha avuto sulle Famiglie Italiane.

Le Banche hanno tratto un vantaggio impressionante dai prestiti e dai finanziamenti, addirittura in una prolungata fase di c.d. consolidamento del debito in cui sono riuscite con gli stessi importi a ricontrattualizzare nuovi mutui con nuovi interessi. A mio parere non è sbagliato sostenere che con quello che gli Italiani hanno pagato per questi mutui guardando ad esempio a quelli di scopo per l’acquisto della casa, forse di case se ne sarebbero potuti comperare minimo due.

Non ritengo utile soprassedere a queste considerazioni. Dietro le controversie ci sono le persone e ciascuna è un mondo. Ci sono storie. Queste storie non meritano il dimenticatoio. Perlomeno l’onore e il rispetto di essere ricordate. Perché la verità è che è talmente immensa la definizione di questo supplizio a rata costante che si perde in una labirintica serie di sofferenze. La convivenza con questo meccanismo ha fatto saltare spesso tutti gli altarini e i meccanismi interni di budgeting finanziario dei singoli come delle Famiglie. Potrebbe aver contribuito a erodere e impoverire la classe media strangolandola e condannandola ad un futuro generazionale di pagamento del debito.

Secondo alcuni commentatori gli Italiani sono stati allevati come in un alveare e predisposti per contrarre almeno un prestito nella vita e quel prestito è stato volutamente organizzato da una corporazione bancaria molto coesa e certamente influente in modo tale da sdoganare questo meccanismo di rimborso quasi ovunque.

Leggendo questa decisione io credo che le Sezioni Unite in realtà non abbiano voluto chiudere le porte a questa situazione, la cui drammaticità non può non essere nota ai Giudici d’Italia.

Me ne persuado per via del fatto che in troppi passaggi hanno cercato delle precisazioni particolari. Inoltre fin troppo spesso hanno voluto sottolineare come certuni tentativi della difesa non fossero spendibili il che implicitamente non significa che non ve ne siano altri più efficaci. Addirittura in un passaggio la Corte afferma: “Diversamente opinando, cioè ipotizzando in astratto che tra gli obblighi comportamentali dell’istituto di credito vi sia anche quello di esplicitare nel contratto il regime di ammortamento o la modalità di capitalizzazione degli interessi, ne potrebbero discendere, semmai, in caso di violazione, eventuali conseguenze sul piano della responsabilità dell’istituto di credito e non della validità del contratto (cfr. Cass. SU n. 26724/2007)”.

Purtroppo uno degli storici vantaggi che hanno da sempre garantito gli Istituti di credito in Italia dove non a caso abbiamo scoperto filoni come l’anatocismo, la capitalizzazione trimestrale, le obbligazioni di fallimenti conclamati, la vendita di azioni proprie, i finanziamenti baciati, gli interessi usurai e dove siamo arrivati persino a vendere i diamanti in banca, è il fatto che spesso i diritti dei consumatori nelle vesti di risparmiatori non vengono elaborati con la dovuta sapienza e la strategia più opportuna per disarmare questa egemonia. In molti casi sono stati i Giudici ad aver salvato tante posizioni deficitarie perché si sono resi conto in prima persona del dramma che c’è dietro a molti contratti bancari.

Mi è impossibile non condannare in tutto e per tutto il mutuo alla francese. Ormai ho acquisito una tale consapevolezza dello sterminato dolore che ha provocato che non riuscirei a sostenere il contrario nemmeno facendo appello alla più decorosa obiettività. Nel contempo la scienza del diritto non è emotività ma ragionamento. E’ razionalità non empatia. Le Sezioni Unite con questa decisione hanno certamente fornito uno strumento importante alle Banche per difendere i loro interessi e lo hanno fatto in ottemperanza del giusto ruolo che ricoprono e in ragione della vicenda che è stata loro sottoposta ma nel contempo forse hanno pure offerto, ancora una volta, certune possibilità di salvezza per coloro che vorranno insistere su questo argomento. E che dovranno rimboccarsi le maniche. Bisognerà lavorare ancora di più. Ancora meglio. In maniera totalizzante.

Chiunque abbia in mano queste pratiche lo deve a tutti coloro che si sono immolati e sacrificati nel pagamento della rata costante dell’ammortamento alla francese. E’ un esercizio di giustizia verso un sistema che ha impoverito uomini e donne che non meritavano nulla di tutto ciò.

Avv. Marco Solferini – www.studiolegalesolferini.com

Pubblicato da:

Marco Solferini

L'avvocato Marco Solferini è esperto in diritto civile, commerciale, bancario, del risparmio e degli investimenti. Ha maturato una significativa esperienza nella tutela dei consumatori, contrattualistica societaria e nel diritto di Famiglia. Si occupa attivamente di diritto delle nuove tecnologie nel Metaverso e Ai in particolare per start-up e PMI. E' titolare dello Studio legale Solferini e svolge la sua attività in Bologna, Roma e Milano: www.studiolegalesolferini.com - info@studiolegalesolferini.com Ha ricoperto e ricopre alcune cariche in enti, società, associazioni. La storia professionale e il curriculum sono disponibili dal profilo Linkedin.

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