Obbligazioni Astaldi.
Risarcimento per inadempimento degli obblighi informativi
Breve nota su alcune decisioni ACF
La decisione ACF del 23 giugno 2020 n. 2694 relativa alle obbligazioni Astaldi stabilisce un primo interessante tassello dal quale sembra opportuno partire per svolgere alcune riflessioni.
Il Collegio dopo aver respinto le richieste del ricorrente sul tema della nullità e dell’annullamento e sull’obbligo restitutorio in capo all’intermediario per difetto di legittimazione passiva accoglie invece la domanda presentata in subordine relativa cioè all’inadempimento degli obblighi informativi.
Pertanto, nella decisione in commento, in parziale accoglimento della domanda del ricorrente, il Collegio relativamente ai 91.496,28 euro investiti in obbligazioni ne dispone la restituzione di 65.822,43 euro svolgendo un interessante ad apprezzabile serie di valutazioni tra conferme e puntualizzazioni di non poco momento.
Guardando anzitutto alle conferme, riscontriamo l’orientamento già più volte ribadito dal Collegio e relativo agli obblighi di informazione e valutazione di adeguatezza con riferimento alle obbligazioni e concernenti la prestazione di un servizio di investimento.
Difatti il Collegio, rilevato anzitutto che il titolo Astaldi era uno strumento complesso caratterizzato da un elevato grado di rischio e di volatilità, sancisce come ad esso trova applicazione il più stringente regime di informazione per il Cliente con riferimento alla Comunicazione Consob n. 0097996 del 22 dicembre 2014.
Successivamente sulla base delle dichiarazioni rese dal ricorrente circa lo svolgimento in fatto dell’operazione d’acquisto il Collegio, posto l’onere probatorio a carico dell’Intermediario (non assolto) tale per cui avrebbe dovuto dimostrare di avere fornito in concreto le informazioni sia in termini di consapevolezza come pure relativamente al grado di rischio assunto, applica il principio già noto del “più probabile che non” facendo di presupposizione virtù, nel supposto logico deduttivo che qualora il ricorrente avesse ben conosciuto la natura del rischio cui andava incontro lo avrebbe diversamente valutato.
E sulla base del medesimo presupposto il Collegio ha accolto le richieste del ricorrente con la più recente Decisione del 22 settembre 2020 dando quindi applicazione a quello che sembra un principio consolidato nelle interpretazioni sul punto in diritto.
Tuttavia è stato respinto il ricorso di cui alla Decisione ancora più recente del 29 ottobre 2020 su acquisti effettuati attraverso l’home banking, quindi attraverso il canale on line, basandosi in parte su di una interpretazione in diritto, circa i contenuti dell’art. 23 Tuf e nel contempo ribadendo che relativamente all’eccezione di nullità la stessa è infondata dal momento in cui non trova applicazione la disciplina di protezione prevista per l’offerta fuori sede nei casi di negoziazione di ordini impartiti tramite il sistema di home banking e per via telematica attraverso l’uso di credenziali assegnate al Cliente non integrando l’offerta di servizi di investimento mediante tecniche di comunicazione a distanza un’ipotesi di offerta fuori sede ai sensi dell’art. 30 TUF.
Per quanto riguarda la violazione di obblighi informativi ha ritenuto il Collegio sufficiente la presenza o meglio la messa a disposizione di schede informative (quantunque senza la certezza che le stesse siano state visualizzate).
Nella decisione 23 giugno 2020 viene invece respinta la ricostruzione speculativa della volontà di procedere comunque all’acquisto da parte dell’investitore, così come fornita dall’Intermediario e che usualmente si basa sulla storia pregressa degli investimenti estrapolando da essa una sorta di carta d’identità dell’investitore che tuttavia non ha mai veramente convinto laddove più che essere una fotografia giustificativa sembra una sorta di predisposizione a mò di predestinazione a carico dell’investitore eternamente condannato a essere valutato come uno speculatore.
La somma da risarcire però viene decurtata di due voci:
- le cedole già incassate.
- art. 1227, comma 2° c.c. la risarcibilità dei danni che il creditore avrebbe potuto evitare con l’ordinaria diligenza.
Peraltro tenuto conto di quanto più volte ribadito dalla Corte di Cassazione.
Il Collegio poi effettua una importante precisazione condizionando il ristoro così quantificato in favore del ricorrente all’obbligo per quest’ultimo di restituire all’intermediario le obbligazioni.
Il ragionamento è di particolare pregio laddove correttamente il Collegio rileva che ad oggi la situazione Astaldi è a un bivio tale per cui sussistono possibilità per i possessori delle obbligazioni di beneficiare del doppio canale della conversione in azioni da un lato come pure della nuova emissione di strumenti finanziari che attribuiranno il diritto al ristoro derivante dalla monetizzazione della vendita di assets.
La decisione del Collegio pertanto vuole avere carattere risolutivo ma anche definitivo evitando che potendo mantenere le obbligazioni un domani il ricorrente finisca per trarre un lucro e quindi giovarsi delle misure messe in campo per il ristoro della posizione degli obbligazionisti da parte della società.
Di qui il vincolo. Se si sceglie una strada non si può percorrere l’altra.
Ciò significa che il risparmiatore titolare di obbligazioni Astaldi è posto di fronte ad una duplice decisione.
Anzitutto valutare se sussistono i presupposti per adire il Collegio a mezzo del ricorso ACF che lo ricordo è sempre successivo al reclamo e segue delle regole ben definite anche e soprattutto in precedenti decisioni tanto nella sua stesura in fatto e diritto.
Poi, ulteriormente, cioè qualora da una prima analisi della fattispecie emergano elementi idonei a consentire il ricorso il risparmiatore deve valutare se, consapevole dell’applicazione dei canoni di quantificazione dell’eventuale ristoro a lui spettante in ragione delle violazioni di cui è stato vittima, gli convenga o meno intraprendere questa strada.
In conclusione s’impone una riflessione relativa all’esatta comprensione e portata delle decisioni rese dal Collegio ACF: può verificarsi che le stesse ad una prima lettura, suggeriscono ai risparmiatori che trattasi di posizioni identiche alle loro su cui taluno ha già avuto ragione. Questo comporta altresì che a volte si possa generare una sorta di convinzione nel risparmiatore/investitore che in realtà corre il rischio di essere ingannevole perchè la dinamica che porta agli acquisti degli strumenti finanziari raramente è omogenea tra gli investitori. Più di frequente essa presenta delle piccole ma sensibili divergenze. Dettagli da non tralasciare mai e per i quali occorre svolgere degli approfondimenti idonei a verificarne sempre la loro portata.
Va anche osservato che frequentemente il Collegio sembra valutare negativamente due presupposti che gli Intermediari sono soliti produrre per mettere in cattiva luce il Cliente e traghettarlo lontano dalle benevolenze del Collegio:
- Un elevato numero di operazioni svolte. Sul punto giova osservare che tralasciando la terminologia dei trader, la compravendita di uno strumento finanziario effettuata più volte o la presenza nel portafoglio del Cliente di strumenti finanziari analoghi per rating o contenuti sposta l’ago della bilancia verso una rappresentazione del Cliente come speculatore
- La presenza di corrispondenza tra l’Intermediario e il Cliente.
A mio avviso, spingendomi in una riflessione, ritengo possibile che in un giudizio arbitrale (che ricordo non è un contenzioso di primo grado davanti a un Giudice) possano trovare spazio queste valutazioni però da interprete della scienza del diritto non posso che provare un senso di incompiutezza nel momento in cui sono obbligato a pensare che lasciare aperta questa “porta sul retro” all’Intermediario significa dargli la possibilità di cavarsi dai guai tutte le volte in cui (e non sono poche):
- La consulenza c’è stata così come il suggerimento relativo all’acquisto ogni volta che il risparmiatore si è trovato nei locali dell’Intermediario e quest’ultimo per bocca dei suoi dipendenti ha illustrato le possibilità di concludere un operazione con delle vere e proprie raccomandazioni personalizzate che poi il risparmiatore in ragione del fatto che è abituato ad operare on line ha posto in essere in prima persona ma che non avrebbe compiuto se avesse saputo che altrimenti, cioè se non le avesse fatte lui, l’Intermediario non gliele avrebbe potute concludere.
- La corrispondenza con i dipendenti dell’Intermediario a qualunque livelloè spesso assai dubitativa per contenuti. Nel senso che consente più che altro di creare una prova contraria semplicemente condividendo alcune impressioni e cautele con il risparmiatore. La qual cosa significa garantire a un sistema organizzato, quale è quello dell’Intermediario, di predisporre siffatta prassi al solo scopo di inviare comunicazioni (anche via email) nelle quali si mette in guardia il Cliente. Però raramente c’è un indicazione vera e propria di disfarsi dello strumento finanziario o il rimando ad una produzione documentale dell’intermediario sul punto ad hoc.
Infine, pur se brevemente occorre considerare un importante orientamento consolidatosi in Cassazione (di recente con la Cass. 17949/2020), tale per cui il Supremo collegio in materia di investimenti finanziari ha più volte ribadito che gli obblighi informativi gravanti, in base al decreto legislativo 58/1998, sull’intermediario vanno adempiuti in vista dell’investimento e si esauriscono con esso, salvo che diverse condizioni vengano previste specificatamente nel contratto di gestione patrimoniale o di consulenza.
Ritengo opportuno sul punto in diritto compiere due riflessioni. La prima è che le pronunce della Corte di Cassazione, tracciando o meglio identificando una apprezzabile “deadline” intervengono su dei “casi” piuttosto datati (a titolo d’esempio, le Obbligazioni Argentina). Nel frattempo, o forse sarebbe più opportuno dire “strada facendo” c’è stata una evoluzione della gestione patrimoniale e non pochi adeguamenti intervenuti anche per il tramite del Regolamento Intermediari. Di fatto abbiamo assistito al proliferare di sollecitazioni agli investimenti ricalcate su numerosi risparmiatori che vengono fin troppo indotti dalla Banca nella veste di Intermediario a compravendere strumenti finanziari inadeguati.
Cristallizzando il principio in diritto della Cassazione otteniamo che, in estrema sintesi: l’intermediario non è tenuto (pure) a informare nel tempo l’investitore per quanto riguarda l’andamento dei titoli acquistati e questo anche nelle ipotesi di abbassamento del loro rating o addirittura di rischio default dell’emittente.
Mi è davvero difficile nel contesto contemporaneo non pensare che un applicazione così matematica e ortodossa del principio si possa sposare o quantomeno conciliare con l’attività che viene portata avanti dagli Intermediari che sono nella pratica quasi sempre i diretti responsabili dell’investimento da parte del risparmiatore ed in particolare proprio in quei prodotti più rischiosi e troppo di frequente sponsorizzati come dei veri e propri “affari”.
Per accettare un siffatto paradigma in diritto bisognerebbe che le legioni bancarie intese come i dipendenti a diverso titolo a contatto con i risparmiatori si comportassero effettivamente proprio con la diligenza di una legione dell’Impero Romano, mentre raccogliendo le testimonianze dei risparmiatori si ha più spesso la sensazione che una minima parte sia effettivamente così scrupolosa (e allora meritevole di beneficiare dello schermo di responsabilità tracciato dalla Cassazione) mentre assai di frequente non si tratta di una disciplinata legione bensì di un armata brancaleonica piuttosto improvvisata e forse anche sopravvalutata per competenze. Qualcuno potrebbe persino definirli venditori.
Come già in precedenza infine ritengo opportuno sottolineare ancora che non c’è alcuna garanzia che sulla stessa materia (per esempio lo stesso strumento finanziario) si ottengano analoghi risultati. L’interpretazione della scienza del diritto è molto utile per i risparmiatori perchè rappresenta un pilastro fondamentale della difesa dei diritti ma è necessario svilupparla con particolare attenzione a volte facendo prima di tutto di prudenza virtù. E questo significa che non esistono risultati certi o garantiti basati sui casi di successo.
Avv. Marco Solferini